Alla Chiesa Lombarda appartiene un patrimonio immenso di beni mobili per quantità di oggetti (dipinti su tela e tavola, arredi, oreficeria, servizi sacri, paramenti, statue) anche se non tutti di qualità artistica elevata o di interesse storico o estetico, molti di buona fattura artigianale, alcuni di produzione seriale o industriale.
Tutti formano un insieme eterogeneo di oggetti che è parte integrante e viva della Chiesa e raccontano lo straordinario intreccio di cultura, spiritualità e tradizioni che è la storia del Cristianesimo e soprattutto delle comunità cristiane nei nostri territori.
Per quella inscindibile connessione fra culto e cultura, questi oggetti sono il segno più evidente di questa storia che ancora oggi continua a essere parte attiva nella società, pur con modalità differenti.
Sono riconosciuti da tutti come un vero e indiscutibile valore di appartenenza comune e da una inchiesta svolta dalla CEI (Conferenza Episcopale Italiana), impegnata da decenni nella valorizzazione e catalogazione dei Beni Culturali Ecclesiastici, emerge il loro ruolo importantissimo nella pastorale e nella liturgia finalizzato allo sviluppo della esperienza religiosa che supera – e deve superare – un approccio puramente visibilistico o formalistico.
Troppo spesso tuttavia sono dimenticati o accantonati in magazzini improvvisati, sconosciuti o poco studiati. La valorizzazione nasce dalla conoscenza e quindi occorre la catalogazione.
In questi anni la Diocesi ambrosiana ha promosso l’inventario e la catalogazione dei beni culturali mobili di proprietà delle parrocchie a partire da un progetto pilota avviato nel 1984 sotto la direzione di , che allora interessò una quindicina di chiese. Un’idea ambiziosa quella del censimento generale dei beni della Diocesi di Milano all’epoca resa pressante anche dal problema della sicurezza delle opere per l’enorme quantità di furti e sparizioni di oggetti senza di fatto averne realizzato una schedatura e una lettura storico-critica adeguata. Un progetto la cui conclusione è ancora lontana per l’esiguità negli anni delle risorse economiche a disposizione.
Non è difficile capire che il significato del censimento dei beni mobili delle cinque parrocchie di Luino, condotto nell’ambito del piano nazionale di catalogazione dei Beni Culturali Ecclesiastici della CEI va al di là delle comunque utili informazioni raccolte.
Con il coordinamento dell’Ufficio Beni Culturali diocesano diretto dall’architetto e grazie alla fattiva collaborazione tra gli Enti locali interessati, ovvero la parrocchia di Luino, il Comune di Luino, la Comunità Montana Valli del Verbano, Università popolare Luino e due Fondazioni bancarie, Fondazione del Varesotto onlus e Fondazione Unione Banche Italiane per Varese rappresenta, con l’analogo progetto concluso in alcune aree del lecchese, un eccellente modo di operare e di buone pratiche che potrebbe fare da modello per altre realtà.
I professionisti incaricati , e hanno redatto 1200 schede “anagrafiche” corredate da oltre 3000 scatti fotografici selezionati fra gli 8000 complessivamente realizzati. Un lavoro enorme che ha riguardato tutti i beni presenti nelle chiese prese in considerazione e appartenenti alle cinque parrocchie di Luino (Luino, Colmegna, Creva, Motte, Voldomino) senza esclusioni: dagli oggetti più recenti e di produzione seriale ma sempre espressione di una volontà e una storia della comunità fino agli oggetti di uso meno comune come ad esempio le numerose serie di candelieri del Settecento spesso di alta qualità ma rinchiusi negli armadi delle sacrestie e non più esposti sugli altari perché sostituiti da altri di epoca successiva, e cosi via.
Un prezioso insieme di informazioni che in futuro potrà orientare non solo la corretta custodia e conservazione dei beni ma anche una programmazione degli interventi di restauro e la loro corretta valorizzazione.
Come ben sottolinea Federico Crimi «operazioni di questo genere, come quelle di Veddasca/Maccagno e ora Luino, più che restituire alla collettività i beni, possono quantomeno colmare un senso comune diffuso che è quello che ben riassumeva nella formula “I luinesi si sentono esclusi dalla storia”. Quello che speriamo di aver restituito è proprio questo: la sensazione che quelle pagine di storia erano state scritte anche da noi».