Che piaccia o no. Inter-Udinese è lo specchio del mondo

L’editoriale del nostro Francesco Inguscio

Ventidue stranieri in campo dal primo minuto per Inter-Udinese. C’è chi si scandalizza. Chi inveisce contro il calcio moderno, rimpiangendo gli anni in cui ogni squadra poteva schierare al massimo tre giocatori non italiani. Chi addirittura preconizza l’imminente catastrofe del nostro calcio. «Mai più, mai più!» si stracciano le vesti i nostalgici dei “bei tempi andati” (chissà perché, per costoro, i “bei tempi” sono sempre quelli “andati”).
Noi, più semplicemente, pensiamo che quello andato in scena sabato a San Siro sia un segno dei tempi.

Dei nostri tempi. Bisogna farsene una ragione: il calcio rispecchia la società. E la società di oggi è fatta di persone che si muovono, viaggiano, emigrano. Di confini sempre più labili e porosi. Si spostano panettieri, gelatai, ingegneri, tecnici, ricercatori, operai. Perché non dovrebbero farlo i calciatori? È normale, assolutamente fisiologico che molti professionisti del pallone di casa nostra vadano a cercar fortuna all’estero. Ed è altrettanto comprensibile che le nostre squadre (chi più, chi meno) siano zeppe di giocatori stranieri. Dov’è lo scandalo? Auspicare un impossibile ritorno alle origini, a una mitica età dell’oro in cui le nostre squadre erano formare quasi esclusivamente da giocatori autoctoni è impensabile, antistorico, e pure un po’ patetico.
Certo, si dirà: e la nostra nazionale che fine fa? Come possiamo puntare a vincere Mondiali ed Europei se il nostro commissario tecnico può scegliere solo tra un ridotto numero di giocatori italiani? L’obiezione è sensata, e i vertici del nostro calcio devono fare qualcosa per far sì che l’Italia torni a sfornare talenti.
Ma questo è un altro discorso, che riguarda principalmente i metodi con cui vengono oggi formati i calciatori, a cominciare dal settore giovanile. Se un giovane italiano è bravo, possiamo starne certi, si affermerà e diventerà titolare in qualsiasi squadra (vi dice qualcosa il nome Donnarumma?). Ma scandalizzarsi e storcere il naso perché una squadra italiana (anzi due) – nel 2016 – scende in campo con undici stranieri, beh, non ha proprio senso. A meno che non ci si voglia tappare gli occhi di fronte a una realtà in continuo movimento.