Per descrivere Yuri Chechi bastano tre parole “Il signore degli anelli”. Campione unico nel panorama nazionale nella ginnastica artistica, il suo palmares parla di cinque ori e due bronzi mondiali, quattro ori e due bronzi europei e, soprattutto, un primo e un terzo posto ai Giochi Olimpici. La prima medaglia a cinque cerchi arriva ad Atlanta 1996, un risultato che mancava addirittura dal 1964 quando Franco Menichelli si impose nel corpo libero a Tokyo. Allora Yuri non era nemmeno nato, la sua carta d’identità recita infatti 11 ottobre 1969. Luogo di nascita Prato, ma nel suo destino c’è anche molta Varese.
«Ho avuto una famiglia che mi ha dato la possibilità di coronare i miei sogni – racconta il campione in un’intervista rilasciata all’agenzia Agi a firma di Maria Letizia D’Agata – Ho fatto scelte complicate come quella di andare via da casa a soli 14 anni per vivere ed allenarmi al centro federale di Varese. È stata una scelta sofferta, ma mi hanno lasciato andare. Nessuno in casa mi ha fatto pesare le decisioni che ho preso.
Ho fatto tutto quello che ritenevo giusto e questo mio atteggiamento è stato fondamentale. Non ho rimpianti». E ci mancherebbe anche, visti gli enormi risultati cui quella scelta ha portato. Anni comunque non facili per un ragazzo lontano da casa: «La mia vita si svolgeva al centro sportivo federale, l’allenamento era costante, quotidiano – prosegue Chechi – Il nostro corpo non è stato creato per fare un salto mortale, ci devi arrivare con sei, sette ore di allenamento al giorno». Aveva le idee chiare fin da piccolo Yuri, quando a nove scriveva in un tema «Da grande voglio vincere una medaglia alle Olimpiadi». Varese, dunque, come apripista di una carriera sfolgorante, soprattutto a riguardarla oggi a distanza di qualche anno. «Di ricordi belli ne ho tanti, i momenti olimpici però sono quelli più intensi, i più particolari. Nel 1993 ho vinto a Bimingham i Mondiali, venivo da un infortunio che mi aveva escluso da Barcellona dove potevo vincere tanto, mi ero rotto il tendine di Achille, quel Mondiale fu il mio riscatto». Un po’ come accaduto recentemente a Gianmarco Tamberi. «L’ho sentito, capisco il suo stato d’animo ma tornerà forte, più forte di prima ne sono sicurissimo», il pensiero di Chechi.
Parlare di Olimpiadi in Italia, a pochi giorni dall’inizio dei Giochi di Rio, fa anche rima col sogno di Roma 2024. «È una grande occasione, magari! Le Olimpiadi di Roma se fatte bene e ben organizzate sarebbero una cosa splendida sotto ogni punto di vista – prosegue – Anche un modo per dimostrare che noi italiani le cose le sappiamo fare. Non dobbiamo solo piangerci addosso e pensare agli aspetti negativi. Le cose si possono fare per bene, nei limiti di legge, senza sperperi. Si può fare e sarebbe un nostro riscatto. Certo, i dubbi ci sono ma i nostri organismi vigilano e possono fare davvero bene perchè noi siamo un Paese migliore di quello che pensiamo di essere».
Di atleti del suo calibro all’orizzonte non se vedono, colpa anche della poca attenzione della scuola italiana allo sport. «Tutti i governi che si succedono mettono sulla carta l’incentivazione dello sport, ma resta tutto lì. Al contrario, lo sport a scuola è fondamentale per la formazione degli adulti di domani, per la disciplina, la salute», parola di campione.