Morte di : per , il marito accusato di averla uccisa, oggi è il giorno della verità. Superato lo scoglio del ne bis in idem, principio giuridico in base al quale una persona non può essere processata due volte per lo stesso reato, frantumato dal gup durante la scorsa udienza nonostante l’articolata eccezione del difensore , oggi il giudice per l’udienza preliminare deciderà sul rinvio a giudizio o meno del killer delle mani mozzate.
E sono le figlie, e Piccolomo, oggi a rivolgere una preghiera: «C’è speranza di dare finalmente giustizia a nostra madre. Uccisa da quel mostro» commentano le due donne, che da anni si battono chiedendo la riapertura delle indagini.
Una giustizia possibile grazie a un fatto eccezionale: è praticamente la prima volta che il principio del ne bis in idem viene superato in Italia. Quella del gup è infatti, a tutti gli effetti, un’ordinanza da considerarsi storica.
Marisa Maldera muore il 20 febbraio del 2003 in seguito a uno “strano” incidente stradale avvenuto a Caravate, dove la donna viveva e lavorava nel ristorante di famiglia con il marito. Marito che, nel 2009, diventerà “celebre” per l’omicidio di , assassinata a Cocquio Trevisago nel settembre di quell’anno. Alla donna furono mozzate le mani (mai più ritrovate) e Piccolomo, per quell’assassinio efferato dal movente economico, è stato condannato in via definitiva all’ergastolo. Per la morte della moglie, lui era alla guida dell’auto, Piccolomo patteggiò una pena a un anno e 4 mesi per omicidio colposo. Come avviene in presenza di qualunque incidente stradale mortale.
Tina e Cinzia, da 14 anni, sostengono che quello, però, non fu un incidente: per loro il padre assassinò la prima moglie, lasciandola bruciare viva nell’auto dopo averla stordita con dei farmaci, in modo da essere libero di sposare la nuova fiamma. Nel 2013 la procura generale di Milano riaprì le indagini, raccogliendo nuovi elementi di prova. Il ne bis in idem vieta che una persona possa essere processata due volte per lo stesso fatto.
«Le prove sono sempre state lì – dice Tina – era lì anche 14 anni fa, quasi 15 visto che febbraio si avvicina, quando subito dicemmo che quell’incidente non era affatto stato un incidente. Per anni abbiamo chiesto e atteso pazientemente che arrivasse questo giorno. Poi, in occasione dell’Appello per l’omicidio della povera Carla Molinari, abbiamo incontrato il pg . Che ci ha ascoltate, ha voluto capire e ha fatto tutte le indagini. Quella donna per noi è
un simbolo: coraggiosa, intelligente, preparata. Ha ricostruito tutto riportando alla luce prove risalenti al momento dell’autopsia: mia madre con tracce di sonnifero nel sangue. L’ha stordita per impedirle di fuggire. Tracce ricavate dai tossicologici dell’epoca, quindi risalenti a 14 anni fa. Nostra madre era una donna dolcissima, una cuoca stupenda, che ci ha amate e protette sempre. Tradita e uccisa da quel mostro invaghito di un’altra e ingolosito dall’assicurazione stipulata sulla vita di mia madre di cui nessuno sapeva nulla e che lui puntava ad incassare».
Oggi è il giorno della verità: «Oggi è il giorno della speranza – dicono le due ragazze – Speranza di arrivare a un processo dopo un’attesa durata 14 anni. Per nostra madre».