Quest’estate lo avevamo definito il “cervello in fuga” del basket varesino, partito per la Sicilia a 26 anni dopo sei stagioni di assistentato sulla panchina biancorossa. Passati sette mesi come secondo di Ugo Ducarello sulla panchina di Trapani in serie A2, l’impressione è che quel “cervello” si stia allargando e non poco, alimentato da un’esperienza fondamentale e irripetibile.
Inutile cercare definizioni, peraltro, perché la migliore è quella che ci dà lui stesso: «Tutto quello che sto imparando lo ficco nella “cesta”, come mi diceva sempre Charlie Recalcati: “Metti tutto dentro lì, vedrai che un giorno ti servirà tirarlo fuori”».
Matteo Jemoli e la Sicilia: una storia di basket profumata di presente che costruisce il futuro, una nuova vita per uscire dal guscio che lo ha amorevolmente cullato dentro e fuori dal parquet, un amore per una terra che ha dato i natali a suo nonno e che sa rendere bella l’esistenza
di chi emigra per questioni cestistiche.
Si prende in giro («sta aumentando tanto anche il mio giro vita, non solo l’esperienza: qui ai piaceri del cibo non si può dire di no»), poi però ritorna serio, perché si parla della sua passione: «Sono contento, sto imparando tanto. Ho più responsabilità e mi piace: la fortuna è avere a che fare con un allenatore che rispetta la mia persona e ascolta le mie idee. Il rapporto con Ugo è alla base della crescita che sento di vivere: lavoriamo insieme, ci confrontiamo continuamente. E il confronto, me lo hanno insegnato i grandi allenatori che ho avuto, è fondamentale».
Trapani vuol dire secondo campionato nazionale: giocatori nuovi, allenatori nuovi, palazzetti nuovi. Tutto nella cesta: «Non stiamo andando male (la squadra è in piena zona playoff ndr), anche se nell’ultimo mese abbiamo dovuto fare i conti con parecchi infortuni: in alcuni giorni erano solo sei i giocatori che si presentavano agli allenamenti, più gli juniores. In questa avventura c’è una cosa che mi fa sentire quasi a casa: anche qui, come a Varese, c’è una grande tradizione cestistica. Il pubblico ci segue molto, in città ti riconoscono, al palazzetto la gente si diverte. E io ho cercato di calarmi nella realtà imparandone la storia: mi sono fatto raccontare tutto del passato di questa società».
Tranquilli: Jemoli non si è scordato del primo amore. La conferma arriva dalla passione con cui ti risponde se gli parli della Varese attuale, la prima senza di lui dopo quelle di Pillastrini, di Recalcati, di Vitucci, di Frates, di Bizzozi, di Pozzecco e di Caja: «Il primo risultato che guardo quando torno a casa potete ben immaginare quale sia» afferma Matteo. E quindi sa di cosa vogliamo discutere se lo trasciniamo sull’attuale stagione biancorossa: «Ho visto poche partite, praticamente solo quelle in coppa, seguite via streaming. Dico solo che mi dispiace molto per quello che sta succedendo. Mi dispiace per la società, per quelli che ci lavorano, da Max Ferraiuolo in giù, perché sono dei super professionisti. Ho vissuto dei momenti simili negli anni scorsi a Varese e so di cosa sto parlando: vi assicuro che da dentro ci si mette l’anima in quello che si fa. Sono però altrettanto sicuro che saranno proprio queste professionalità ad aiutare la squadra a venire fuori da questa situazione».
Viene allora spontaneo chiedere all’ex assistente di Gianmarco Pozzecco prima e di Attilio Caja poi quali siano stati i segreti che nel 2015 hanno trasformato una china pericolosa (non come quella del 2016, va notato) nel cammino sicuro delle ultime giornate. Segnare la risposta del “cervello in fuga”: «Non ci sono interruttori, né segreti, né bacchette magiche. Ci si deve solo chiudere in palestra e lavorare: così è stato per noi. E anche questa Varese ci riuscirà».