Sedici punti e 3,4 assist di media a partita. I numeri dicono poco della parentesi pesarese di Chris Wright, il nuovo playmaker cui la Openjobmetis Varese si è affidata per il finale di stagione. Di più può il ricordo di una leadership quasi totale, che lo fece diventare una stella polare per la squadra l’anno scorso allenata da Sandro Dell’Agnello. Wright, acquistato a gennaio 2015, pur con qualche patema d’animo riuscì a portare Pesaro alla salvezza, entrando nel cuore di una città intera.
Veni, vidi, vici, con la forza di un carattere temprato dalle difficoltà della vita: fu proprio questo a lasciare il segno in riva all’Adriatico. E non è un caso che a gennaio 2016, quando la chance di prendere il regista nativo di Bowie è diventata concreta per Varese, il direttore sportivo della Consultinvest Stefano Cioppi abbia ricevuto alcune telefonate da piazza Monte Grappa: qualsiasi ed eventuale dubbio sul conto del giocatore è svanito con due chiacchiere fatte con chi lo ha apprezzato davvero.
E lo avrebbe pure tenuto per questo campionato: «E’ stato il budget a impedirci di farlo – ammette il presidente della Victoria Libertas Ario Costa – Fosse stato possibile lo avremmo confermato alla grande».
L’ex campione della Pesaro che vinceva, oggi ai vertici della società che lo ha cullato da atleta, non nasconde – nemmeno in una parola – la stima e l’ammirazione che lo legano a Wright. Tanto da fargli dire: «Sono contento che sia tornato in Italia, anche se non da noi. E lo sono per lui, perché in primis è un uomo speciale, poi un bravo giocatore. Ha una sensibilità e una correttezza estreme, condite da una professionalità esemplare. Nel gruppo dello scorso anno è stato capace di infondere saggezza ed entusiasmo». È solo l’inizio: «Quello che fa sul parquet non è altro che la traduzione delle sue qualità personali. Ha una grande leadership che gli consente di gestire i momenti difficili e di capire le partita: sa quando mettersi in proprio, caricandosi la squadra sulle sue spalle, e quando invece coinvolgere i compagni».
L’analisi di Ario Costa è completa, perché tocca anche i difetti del nuovo americano della Pallacanestro Varese: «Non è un tiratore da fuori, ma è capace anche di segnare in quel modo se serve. Non posso scordare, per esempio, che nel match decisivo per la salvezza contro Caserta (fu giocato all’ultima giornata: perse la Pasta Reggia e retrocesse in serie A2 ndr) fece un 2/3 che ci salvò la pelle. I suoi pregi evidenti sono però la capacità di buttarsi dentro, il fisico e la difesa».
Wright a Pesaro fu un fuoco d’artificio che esplose nel mezzo di una notte oscura: «Noi eravamo quelli che eravamo e non fu difficile per lui avere un impatto così consistente» dice Costa. Scrutare il suo ruolino di marcia nello scorso campionato genera speranza per il suo futuro targato Varese, fin da quello prossimo che lo vedrà impegnato in una partita di estrema importanza come quella di domenica. Esordì con una sconfitta, contro Brindisi alla prima giornata di ritorno, ma segnò 26 punti in 30 minuti. Poi venne proprio a Varese, contro la Openjobmetis di un Gianmarco Pozzecco in difficoltà, ed espugnò il Palawhirlpool grazie a una prestazione monstre: 23 punti, 8 rimbalzi e 5 assist. «All’inizio fu senza dubbio devastante – continua il suo ex presidente – poi ebbe un piccolo calo, normale in virtù del fatto che gli avversari avevano incominciato a conoscerlo». Sembra quasi strano essere arrivati alla fine di un’intervista sul nuovo arrivato in casa Varese senza avere menzionato la sclerosi multipla. Strano ma non sbagliato, perché in questi giorni si è giustamente parlato tanto dell’epopea di un professionista che con grande forza d’animo sta combattendo la sua malattia senza porre fine alla sua carriera, ma questo ha comportato una certa sottovalutazione di tutti quegli aspetti che fanno di lui – innanzitutto – un grande giocatore.
A Costa chiediamo solo se Pesaro abbia avuto dei dubbi prima di ingaggiarlo in virtù di questo problema: «No, tutti ci avevano rassicurato ed è stata necessaria solo qualche verifica in più, come normale che fosse. Qui da noi Chris non ha mai accusato un problema: l’unica esigenza che ha avuto è stata quella di rispettare il suo protocollo di terapia».