Ci vediamo ancora venerdì a Novara e di nuovo qui, tra due settimane, caro Varese. Te lo sei meritato, tu che hai giocato come uno qualunque di noi seimila, senza nome, senza volto: nudi solo con la nostra maglia biancorossa. Ce lo siamo meritato, noi cinquemila che abbiamo sofferto, segnato e corso come un bambino verso il futuro, come Forte e Fiamozzi. Non poteva essere l’ultima volta per vedere una squadra così: l’aria giusta, il piacere di giocare a calcio, spensieratezza e coraggio.
Non ci ha abbattuto il furto dell’arbitro Gavillucci, che cancella rigore ed espulsione al primo minuto. Né l’uscita di Neto dopo 45 minuti, che insieme a Zecco aveva seminato poesia in un campo di bestemmie. E nemmeno la notizia dell’1-0 novarese a Bari che mandava i biancorossi ai playout da ultimi e, con due pareggi, retrocessi. Non ci ha abbattuto nulla, perché noi siamo il Varese: quello di Sannino o di Maran? No, quello del Betti.
Che vince i rimpalli, che si butta su tutte le palle come uno squalo che sente l’odore del sangue. Siamo tutti Forte, che prende palla e vola in porta da metà campo a prendersi il rigore come aveva fatto, da queste parti, solo El Shaarawy (o De Luca). Siamo tutti Fiamozzi, che corre sulla fascia come Pisano. Siamo tutti Falcone, un pugno di apparizioni eppure gioca come se fosse titolare da 41 partite, anzi dall’Eccellenza: il nuovo Gambadori, per dire. E siamo tutti Bettinelli, il signor Nessuno. Perché ha reso sorda la squadra al richiamo degli ultimi mesi terribili. Caro Criscitiello: ottieni più cose con il silenzio, annullandoti nel tuo lavoro e negli altri, piuttosto che urlando alla luna. Che non sarà mai azzurra, come vorresti tu. La luna è bianca, con dei puntini rossi. Noi abbiamo un cuore grande come il mondo, signor C, tu solo una piccola penna.
Il Dante che entra nell’ultima notte e sparge il sale davanti alla panchina del Varese, come ai bei tempi. La paura che non c’è più, né quella del Novara – (Il signor C disse: «Il Varese è finito») – e nemmeno quella di retrocedere. Perché comunque la cose sono già cambiate, e cambieranno molto ma molto di più. In meglio: torna l’anima varesina, quella della scalata. Del miracolo dell’umiltà. Della sofferenza. Del sacrificio comune.
E poi avremmo anche due cosucce da dire al Cittadella, che s’è accanito sul Varese come un avvoltoio sulla carcassa, e a Reggio Calabria ha vinto perché un suo giocatore ha “ordinato” a un reggino di sbagliare il rigore. Ma pure all’Empoli che una settimana fa non ha segnato il gol della vittoria con lo stesso Cittadella. Ieri un altro pareggio scritto dei veneti a Lanciano. Ma il bello del calcio è salvarsi così, tra pareggi o vittorie già scritte. Oppure perdere sette partite, ma candidamente e con l’ingenuità dei bambini che amano il calcio e sono puliti?
Il bello del calcio è aspettare il Novara nella gara di ritorno al Franco Ossola il 13 giugno, lo stesso giorno di quattro anni fa in cui ci prendemmo la serie B contro la Cremonese, nello stesso stadio.
Andrea Confalonieri
© riproduzione riservata