Per i tifosi biancorossi, e per tutto il mondo del calcio italiano, è stata una domenica di Pasqua poco felice. Spartaco Landini, ex direttore sportivo del Varese, è morto all’età di 73 anni nella sua casa di Genova dopo aver lottato per oltre due anni contro una forma aggressiva di leucemia mieloide acuta. Sconfitta una prima volta, si è ripresentata l’anno scorso, senza lasciargli scampo. Il ricordo che lascia Spartaco, specialmente in chi lo ha conosciuto in quei mesi travagliati dell’ultima stagione tra i professionisti del Varese, è intenso. È quello di un uomo buono, elegante, ironico, sincero. Qualità difficili da trovare nel mondo del calcio. Qualità che Spartaco possedeva, e grazie alle quali si era fatto benvolere.
Se ne va per molti un amico, un fratello incontrato sulla strada del calcio e preso per mano anche lontano dal terreno di gioco. È così per Riccardo Sogliano: «Spartaco era un mio grande amico, ha lavorato con me ed abitavamo assieme a Forte dei Marmi, prima che iniziasse a stare poco bene. Stavamo sempre assieme, era davvero una persona squisita. Noi due eravamo molto affezionati, così come lo erano le nostre famiglie. Purtroppo questa è la vita, e non ci si può far nulla».
Era diventato un amico anche per Silvio Papini, così come per Stefano Bettinelli, che lo avevano conosciuto in quei mesi travagliati e che avevano imparato ad apprezzare la sua grande eleganza e simpatia: «Era una persona squisita – ricorda Papini – con cui ho avuto modo di condividere quella che sul campo fu una stagione disgraziata. Mi colpiva il fatto che non faceva mai pesare il fatto di essere stato un grande calciatore, oltre che un grande dirigente.
Spesso andavamo insieme a pranzo a mezzogiorno, ci mangiavamo un’insalata. Durante la malattia, ero stato con un amico a trovarlo a Milano in ospedale, era stato via qualche mese però quando tornò dopo esser stato dimesso, fu un giorno di festa per tutti. Lo avevamo accolto con gioia, perché sapevamo che per lui come per noi era importante essere di nuovo insieme sul campo. Ci continuavamo a sentire spesso e ci eravamo ritrovati non molto tempo fa a Milano a vedere una partita della Primavera dell’Inter. Era un’ottima persona, ora lo accompagneremo nel giorno del suo funerale».
Funerale che si terrà questa mattina a Genova, alle 11.45 nella Chiesa della Consolazione in via XX Settembre. Anche Francesco Luoni, ora capitano del Varese ed in quella stagione uno dei fedelissimi di Bettinelli in Serie B, ha un pensiero per colui che fu il suo direttore sportivo: «Ho conosciuto un uomo posato, positivo, gentile in quella che fu una stagione molto difficile. Mi stringo al dolore della famiglia ed esprimo le mie sincere condoglianze».
Sono molto toccanti le parole di Stefano Ferrè ed Omar Valentini, che furono i primi ad accogliere Spartaco nella sua avventura biancorossa. Un incontro inizialmente casuale, ma significativo: «Di lui ricordo l’umiltà totale – ammette Stefano – perché era arrivato in punta di piedi nonostante avesse alle spalle una carriera enorme. Aveva competenza ed una gentilezza incredibile anche con noi dello staff. Ci raccontava aneddoti sulla Grande Inter, ci raccontava che si trovava spesso con Mario Corso, e per noi giovani erano storie straordinarie da ascoltare. Affrontava tutto con il sorriso, dai problemi sportivi alla malattia, vissuta con discrezione e senza lamentarsi. Mi ricordo anche quando si arrabbiava perché dall’ospedale non gli davano il permesso di venire allo stadio o al campo di allenamento».
L’aneddoto del suo primo giorno a Varese lo racconta Omar: «Ricordo come se fosse ieri il primo giorno che arrivò a Varese: io e Stefano lo incontrammo fuori dalla vecchia sede in via Manin, ci fermammo a parlare e lui ci colpì per la sua gentilezza, la sua eleganza e la disponibilità. Ci chiese di spiegargli come arrivare a Malnate, dove al tempo si allenava la squadra. Il suo modo di porsi ci aveva colpito, mi torna in mente questo particolare, perché nel calcio è difficile trovare una persona del suo calibro. Lui, avendo vissuto questo sport ai massimi livelli, era davvero di un altro livello, in tutto. Ogni volta che passava in sede a salutarci, si fermava per scambiare due parole: segni di disponibilità che chi lavora sa che non è facile trovare ovunque. Di lui ricorderò sempre la delicatezza, la gentilezza e l’eleganza».