Houston, Texas, 13 feb. (Apcom-Nuova Energia) – Affezionati alla
loro industria mineraria, gli Stati Uniti puntano sulla
tecnologia per rendere meno inquinante la produzione di
elettricità dal carbone, attraverso la cattura del biossido di
carbonio emesso con la combustione, una tecnologia che però è
ancora ai primi passi e molto controversa. La metà dei 4.000
gigawatt consumati nella prima economia del mondo è prodotta con
il carbone, l’energia più nociva per l’ambiente. “Continueremo a
bruciare carbone per molti anni” ammette Fred Krupp, presidente
dell’Environmental Defense Fund nel corso del convegno annuale
del gruppo di ricerca Cambridge Energy Research Associate (Cera)
a Houston in Texas.
Il nuovo segretario all’Energia, Steven Chu, a gennaio aveva
definito “un imperativo trovare il modo di utilizzare il carbone
nel modo più pulito possibile”, un’idea sostenuta da Barack Obama
nel corso della campagna elettorale.
I tentativi per rendere meno inquinante la produzione di energia
da carbone non sono recenti: General Electric ha inaugurato
all’inizio degli anni ’80 una centrale pilota che “non si è
rivelata nè efficace nè competitiva”, ha ammesso Jim Suciu,
direttore vendite di GE Energy. Per Krupp le nuove tecnologie di
cattura della CO2, che permettono di ridurre a zero le emissioni,
danno “un avvenire al carbone”.
La francese Alstom sta costruendo in West Virginia la prima
centrale americana su scala commerciale, benchè modesta (30
megawatt), dotata di un impianto di cattura della CO2. Dovrebbe
cominciare a produrre entro fine anno, consentendo di verificare
la tecnologia, testata finora solo sulle piccole strutture.
L’idea offre vantaggi: gli Usa, come la Cina o l’Australia,
dispongono di abbondanti riserve di carbone. Secondo il
dipartimento Usa dell’Energia, le risorse mondiali certificate
nel 2004 corrispondevano a 160 anni di produzione.
Inoltre consentirebbe di mantenere in vita l’industria
carbonifera statunitense, rispondendo anche al doppio obiettivo
di ridurre l’inquinamento e la dipendenza degli americani dal
petrolio.
La tecnica usata negli States di separare chimicamente la CO2 dai
fumi della combustione del carbone ha anche il merito di
adattarsi alle centrali esistenti, ma per gli specialisti non
funziona ancora a dovere e occorreranno vari anni prima che si
possa applicare su larga scala. In primo piano c’è la questione
dello stoccaggio della CO2 catturata nei giacimenti di gas
esauriti o tra gli strati di roccia, una cosa che inquieta gli
ecologisti, mentre l’industria si trova di fronte a un vuoto
legislativo. Inoltre il processo ha un prezzo: Alstom stima che
costi dal 10 al 20% della produzione energetica di una centrale.
“La questione oggi non è se funziona o meno, ma a che prezzo e se
i governi metteranno a punto abbastanza in fretta un quadro
giuridico soddisfacente che consenta a tutti di lavorare” afferma
Philippe Joubert, vicepresidente di Alstom.
David Hobbs, direttore della ricerca del Cera dice di dubitare
“che un’applicazione per la cattura del carbone su larga scala
arrivi per prima negli Stati Uniti”. In assenza di finanziamenti
sufficienti dal governo Usa, Hobbs ritiene che le prime grandi
centrali del genere apriranno in Canada e un Arabia Saudita, più
avanti in questo campo. “Ma quando questo succederà suonerà la
sveglia negli Usa, come è accaduto per lo Sputnik nel volo
spaziale” aggiunge.
Eco
MAZ
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