La storia dell’alta gastronomia a Varese parte da via Carrobbio: a due passi dalla chiesa della Motta, si trovava, fino ai primi anni del nuovo Millennio, il ristorante stellato della città, che si chiamava Lago Maggiore. Dal 26 novembre del 2005, negli stessi locali, completamente rinnovati, splende un tesoro del mare: La Perla, nelle mani dello chef Simone De Martin e della sua famiglia.
Con Simone parte il nuovo percorso di “Cucinando”: la nostra pagina domenicale di enogastronomia vedrà alternarsi quattro giovani chef varesotti. Il loro cammino sarà accompagnato da Maura Gosio (una stella Michelin): dalla cucina del Royal di Courmayeur ogni settimana regalerà una ricetta ai nostro lettori.
La penna passa ora a Simone.
Il nucleo familiare è il cuore, il battito vivo e appassionato del nostro ristorante dove ci teniamo a far sentire a casa chi viene a trovarci, garantendo, al tempo stesso, l’esclusività di un’atmosfera speciale e raffinata. Io e mio papà Roberto siamo in cucina per spadellare, in sintonia, piatti che abbiano un gusto unico mentre in sala ci sono mia mamma Loredana, mia sorella Samuela e la mia cara Francesca, compagna di vita e musa ispiratrice. Sono loro a consigliare i giusti abbinamenti per sposare al meglio menu e carta dei vini.
La carta viene scritta giorno per giorno per non deludere le attese di chi è alla ricerca della qualità che per noi coincide con l’eccellenza della materia prima. Privilegiamo la stagionalità, proponendo sempre prodotti freschi e garantiti: per questo non possiamo avere in menu un tartufo durante tutto l’anno. Ma quando lo abbiamo siamo certi che è quello migliore, che vale la visita.
Stesso discorso per quanto riguarda il pesce, uno dei nostri piatti più forti. Purtroppo il mare non si trova a due passi da Varese e l’investimento quotidiano per avere pescato di primissima qualità è notevole. Proprio perché ci arriva un prodotto prezioso dobbiamo toccarlo il meno possibile per non nascondere le sue particolarità e così lo cuciniamo nel modo più naturale possibile, senza intingoli, salse o altro che vada a nascondere il profumo, il sapore e la freschezza di un pesce appena uscito dall’acqua. Sarebbe un sacrilegio.
Mi si rattrista il cuore quando penso che alcuni mestieri siano in estinzione, come quello del pescivendolo. Sono sempre di meno le pescherie di fiducia, quelle che avevi magari sotto casa e in cui entravi dicendo al proprietario: «Che cosa ti è arrivato stamattina e che cosa darai tu oggi da mangiare a tuo figlio?». Sui banchi di questi negozi fidati non c’erano di certo mille pesci come capita adesso nella grande distribuzione. Ma quello che trovavi era qualcosa che potevi prendere a occhi chiusi.
Noi, per fortuna, possiamo ancora contare su un pescivendolo onesto e competente, uno di quelli vecchio stampo: il nome Piccinelli equivale a fiducia, che è la bandiera della pescheria Zamberletti, una solida e conosciuta istituzione varesina. Luigi Piccinelli, amico da sempre di mio papà Roberto, alza il telefono alle due di mattina se, ad esempio, da Chioggia è in arrivo una partita interessante di branzini. È una fortuna lavorare con un fornitore del suo calibro e una garanzia perché dare da mangiare alle persone è una responsabilità: vuol dire entrare nella loro bocca e sul loro palato, condividendo sensazioni fisiche e psicologiche.
I sapori di un piatto, le impronte di una mia scelta di stile sono dettagli di gusto che permangono e che un cliente si porta a casa. Per questo sono felice quando riesco ad avere nel ristorante persone che chiedono di parlare con me, che mi invitano a scegliere per loro o, al contrario, che mi chiedono un particolare piatto, in base alla materia prima.
Per tornare alla familiarità della cucina, da cui siamo partiti, alla ricerca del miglior prodotto e a uno dei nostri marchi di qualità, cioè il pesce di mare, posso raccontarvi un aneddoto.
Venerdì scorso, Piccinelli mi ha telefonato per dirmi di avere un grande baccalà e io subito ho contattato alcuni affezionati clienti: c’è stato chi mi ha chiesto di cucinarlo alla vicentina, altri invece volevano ricordarsi la ricetta della nonna o quella assaporata nell’infanzia e mi hanno pregato di interpretarlo come meglio preferivano. Un pesce come il merluzzo che, nei periodi di magra del dopo guerra era una risorsa per le tavole più povere, diventa così una chicca gastronomica in grado di stuzzicare la fantasia del cuoco e dei suoi clienti. E questo è straordinario.
Come è straordinario il rapporto che si può creare con chi, sedendosi in sala, decide di affidarsi a me, mettendosi nelle mie mani o domandando d’istinto una particolare ricetta. Godo letteralmente nell’accontentare le richieste e, allo stesso modo, è una grande soddisfazione quando i clienti preferiscono orientarsi in base ai miei suggerimenti.
Tutto però si fonda sulla genuinità dei prodotti e, per continuare a parlare di pesce, la nostra firma di garanzia è rappresentata dalla Gran Crudité. Con un crudo così fresco, sembra davvero che Varese sia in riva al mare.
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