Leggo con ormai sempre più scarso interesse dell’ennesima marcia a tappe forzate (mi conceda di definirla così) delle coalizioni di centrodestra (Lega esclusa) e centrosinistra verso le primarie per l’individuazione del candidato sindaco di Varese. E mi domando: a chi servono davvero le primarie? Ai cittadini, chiamati a scegliere colui il quale portare alla sfida con l’avversario? Ai candidati, per rendere note le proprie idee sulla città che vorrebbero poter guidare? Oppure, e qui mi si perdoni un pizzico di veleno,
ai partiti stessi, per guadagnare visibilità a costo sostanzialmente zero, raggiungere un elettorato più ampio rispetto a quello consolidato e ammantare decisioni che purtroppo immagino prese a tavolino di partecipazione popolare?
Quanto successo in Liguria ha lasciato l’amaro in bocca (e anche nelle urne) al Partito Democratico ma, ancor di più, ne ha lasciato a chi, come me, nelle primarie ha sempre creduto. E allora oggi la penso così: se un partito vuol riguadagnare credibilità, ci metta la faccia (ovvero il candidato). L’elettore deve sapere se dietro a una scelta c’è qualcuno (un partito o una coalizione) con le idee chiare e la forza per portarle avanti, a cominciare proprio dalla scelta di chi proporre come futura guida di una città. La democrazia, in fondo, è anche questa.