«Condanno il gesto, non il Poz: è unico»

L’episodio chiave di domenica visto da Valerio Bianchini: «Giusto emozionarsi, ma farlo così non serve. Varese gioca bene, però resta bipolare: meno istinto, più autodisciplina. Derby bello e... demenziale»

Il precedente che lo riguarda lo ha rivangato lui stesso, ricostruendolo nei dettagli sulla sua pagina Facebook. Il Vate, al secolo Valerio Bianchini, condanna il gesto del Poz che si strappa la camicia, ma assolve il protagonista dell’episodio incriminato, poiché «è sempre doveroso distinguere fra peccato e peccatore». E racconta: «La giacca o la camicia sono l’uniforme del coach, ne certificano la funzione. Quando il coach si sente oltraggiato dalle decisioni arbitrali si strappa l’indumento di dosso, come se volesse offrirlo alla perfidia dei suoi persecutori: “Mi state prendendo l’anima di allenatore, prendetevi anche la divisa!”».


Sì, negli anni ’80, al PalaDozza, allenando Cantù contro la Virtus Bologna. A una decisione arbitrale protestai vivacemente e presi tecnico: come reazione mi tolsi la giacca e la scaraventai al suolo. Arrivarono subito il secondo fischio e l’espulsione automatica. Sedendomi nel parterre mi trovai accanto a Vitolo, arbitro bravo e sarcastico da vero toscanaccio. Mi disse: “Se ero io l’arbitro miha ti davo tecnico. Pigliavo la tu’ giacca e mi ci pulivo le scarpe”».


Da un allenatore della personalità e del carattere di Gianmarco, che arriva a una partita delicata come il derby da quattro sconfitte consecutive, io mi aspettavo qualcosa di eclatante già durante la settimana. Gli è capitato invece di esplodere in partita. Ma noi che facciamo questo lavoro siamo inevitabilmente in balia degli arbitri e a volte esageriamo, vedendo solo gli errori e lasciandoci contagiare dalla tensione.


Lo sport è innanzitutto emozione, ed è giusto che Pozzecco questi sentimenti li esprima. Altri, nel suo ruolo, a me sembrano degli automi, con lo sguardo perso nel vuoto. Mi lasciano davvero allibito. Il Poz, per fortuna, sa tirare fuori tutto, comunicare quello che prova. Comunque sia, c’è un però…


Esistono dei limiti invalicabili, dettati dall’utilità. Farsi espellere non è utile alla squadra. Saper creare l’atmosfera, sollevando interesse, è meraviglioso: poi però bisogna sapersi autoregolare. Gianmarco imparerà a farlo, serve tempo. Anche perché in questi casi poi è rarissimo che un vice vinca la partita da solo, quasi a non voler destabilizzare l’ambiente.


Molto bella, anche se demenziale.


È stata una partita di puro istinto, senza logica, com’è tipico di questo nostro basket. Ed è esattamente il contrario di quanto fosse alle origini: questo sport nasce a tavolino, non ha nulla a che fare con l’istinto.


La pallacanestro viene inventata nel Massachusetts, come opportunità di allenamento invernale per gli atleti del football americano. È da giocare al coperto, in condizioni ambientali standard. Il campo diventa quindi un laboratorio, in cui tutto è soggetto a studio e sperimentazione. Ecco perché il gioco di oggi, invece, è demenziale.


Certo. L’allenatore è un po’ come l’auriga di Platone, impegnato a mantenere l’equilibrio fra il cavallo nero e il cavallo bianco che trascinano la biga. Nella metafora cestistica, il nero è l’istinto e il bianco la ragione: se prevale il primo, la seconda viene travolta, ma se a comandare fosse soltanto quest’ultima, non si porterebbero mai a casa i due punti, perché al bianco manca l’animus vincendi. Ecco che il coach deve saper mixare.


Deve darsi autodisciplina, altrimenti resterà sempre una squadra bipolare, sempre in bilico fra entusiasmo e depressione. Occorre normalizzarsi, trovando la capacità di gestire risorse ed energie per tutti i 40 minuti. Tanti pensano che sia decisivo il quintetto di partenza, invece bisogna vedere il quintetto con cui si finisce.


L’ho vista praticamente solo domenica e devo dire di sì, relativamente alla circostanza. Ha giocato bene. Ho visto più fantasia, dinamismo e capacità di muovere i giocatori sul campo di quanto non ne abbiano altre realtà dove si applica solo il pick and roll.


Se lo meriterà davvero quando capirà i suoi limiti e saprà incanalare le emozioni e le energie lungo l’intera partita.