Cos’è diventato il Pd, dopo che il popolo ha detto di No alla sua riforma

Il NO ha prevalso sulla riforma della Carta costituzionale. Poiché, tale battuta d’arresto, si è connotata nella manifestazione del voto popolare come una sconfitta del Governo Renzi e la sua “personale” vocazione egemonica dentro le diverse “correnti” del PD, è opportuno riflettere su “cosa è” attualmente il Partito Democratico. La risposta a tale domanda denota due fenomeni di idee politiche. La prima riguarda la compagine interna del Partito. Si evidenzia una rivoluzione di maggioranza “secondo Renzi”

e i renziani e il dopo la rivoluzione “contro Renzi”. Si crea in questo senso “una guerra di posizione”. In questo contesto il Segretario del PD che era anche il Capo del governo, rappresenta la conquista elettorale che si esprime con l’affermazione di “partito di Governo” del Paese. E deve essere tale idea omogenea a tutta la compagine del PD: cioè che esso è Partito di governo! Se non viene ciò espresso chiaramente ed unitariamente da tutto il Partito, il risultato è la perdita di identità della sinistra progressista e di conseguenza la “punizione” elettorale dei cittadini confusi. Il disordine interno al PD, diviso in “correnti” di contrasto, finiscono per ingenerare l’idea che il partito (ex PCI) non riesce ad essere “partito di governo” dal momento che le opposizioni interne sfociano nell’idea collettiva che i conflitti endogeni del PD sono finalizzati alla opposizione del “partito di governo”. Renzi è caduto, oltre ad un’incauta spregiudicatezza personale, fondamentalmente perché il PD non ha gridato chiaro che è il “partito del governo” del Paese.
Si avverte che dentro il PD, è in corso una rivolta, una lotta contro il potere di Renzi e non per il potere per governare il Paese. Questa istanza antiautoritaria e anticentralistica, produce e implementa l’idea che il nuovo viene dal basso, dalla gente. Quindi, trionfano i movimentismi populistici (M5Stelle, Lega …) che fanno circolare nell’immaginario collettivo, l’idea che la democrazia è una democrazia diretta, con possibilità di controllo del delegato da parte dei deleganti. I contrasti interni, quindi del PD, fanno scaturire questo avanzamento della protesta di altri schieramenti politici che vanno contrastati nella idea politica che la loro maggioranza di consenso, non è più avanzata di quella del PD. E’ una maggioranza verbale e gestuale che non ha alcuna seria riflessione sulla azione politica. Per governare le minoranze devono dimostrare di essere più avanzate sul piano amministrativo, della maggioranza. Se ciò non c’è, il cambiamento inevitabilmente si rivolterà contro di esse. La seconda idea che emerge dal post-referendum, ripropone l’idea che il “ritorno alla Costituzione” è una via d’uscita difficile, ma senza alternative valide.

Essa si sostanzia da una parte delle diverse forze politiche, quale base per avviare congiuntamente riforme dei partiti e riforme delle istituzioni, rafforzando accordi generali sui fondamenti della convivenza ad ogni livello e favorendo l’assunzione da parte delle forze del Paese delle responsabilità loro proprie per lo svolgimento di una democrazia garantista e progressista, “governata” e “governante” assieme.

Il NO per il PD, dovrebbe aver insegnato che il compito di tutti i partiti quando vogliono tornare alla Costituzione , serve per la realizzazione della sovranità popolare in una democrazia pluralistica e maggioritaria, riconoscendo la funzione insostituibile dei partiti per l’organizzazione della partecipazione dei cittadini alla Repubblica. Fondamentale risulta, pertanto evitare ulteriori fratture tra le forze politiche e sociali, destinate ad aggravare il disaccordo sui fondamenti della convivenza democratica. Ma, dall’altra, anche costringere il maggior numero possibile di tali forze a misurarsi nel modo dovuto con la crisi nelle relazioni fra partiti, istituzioni e Paese. Al che deve contribuire il PD, accrescendo la consapevolezza che non esistono alternative valide ad una riforma congiunta dei partiti e delle istituzioni: e questo facendo prendere coscienza dei rischi di un ricorso continuo a elezioni anticipate, da parte di forze di maggioranza e di minoranza; come pure dei pericoli di un abbandono a se stesse senza una adeguata guida democratica, delle tumultuose e contrastanti aspirazioni all’ordine e al cambiamento in una società sempre più socializzata e secolarizzata. Il post-referendum del PD considerato in un’ottica di analisi critica della sconfitta, dovrebbe fargli comprendere l’evitamento dei guasti di una contrattazione corporativa all’interno delle istituzioni e alla valenza autoritaria di un “panpoliticismo” partitico o meno.