Il completo che non passa inosservato, il ciuffo candido, il sorriso caldo, sincero, di quelli che mettono subito a proprio agio. Così Paolo Crepet si è seduto a una delle scrivanie della nostra redazione parlando di tutto e con tutti. Analizzando, spiegando, riflettendo e aprendosi a sua volta alla riflessione. Il noto psichiatra, sociologo e scrittore, ha fatto tappa a Varese per presentare il suo ultimo “Baciami senza rete” che analizza i rapporti interpersonali dei “nativi digitali”, ovvero le nuove generazioni che hanno imparato a interagire nel momento storico in cui si comunica solo attraverso la tecnologia. Libro che ha riscosso grande successo anche giovedì sera al ristorante Da Annetta, dove Crepet ha presenziato all’appuntamento dicembrino con “Il sogno che va” promosso da Rosario Rasizza e Openjobmetis.
Criminalizzare i social network e la tecnologia in generale è scorretto. Mettiamola così, Facebook è come l’acqua bollente che fa salire a galla gli gnocchi: anche se non li fai cuocere, gli gnocchi esistono lo stesso. Ecco, il mondo digitale è l’arena dove ha trovato sfogo quella maleducazione, quella volgarità, anche quell’ignoranza che fino a una decina di anni fa ci faceva ridere e basta. Provate a pensare a Verdone e al suo “O famo strano”. C’è un però.
Il vero motore di chi sbraita sui social network è il grande senso di frustrazione che l’attuale generazione dei 35/40enni porta dentro di sé. Una generazione nata e cresciuta nel benessere, reale o presunto. Poi, arrivati ai loro 20 anni, la grande crisi economica mondiale da un giorno all’altro ha “chiuso il luna park”. E allora si sono incazzati, e hanno iniziato a prendersela con tutti quelli che pensano abbiano messo questi sigilli. Istituzioni, politici, banche, cinesi… Un clima di tutti contro tutti, che si autofomenta e si autoalimenta.
Quel personaggio è geniale, una fotografia perfetta. I social network hanno una loro grammatica: più si dicono cose non condivisibili e più si ha successo. La vittoria di Donald Trump è l’esempio di come l’efficacia della comunicazione ormai non si basa più sul ragionamento ma sullo statement, su quello che il grande Umberto Eco chiamava la “chiacchiera da bar”. Un cambiamento radicale del linguaggio, che ormai ha adottato anche la politica.
L’universo digitale ha creato un mondo che è una bolla d’aria dove ci si può accomodare, dove si vive separati e soprattutto dove si può essere ciò che si vuole. Un cambiamento antropologico mastodontico. È chiaro che questo processo oltre ad alimentare la propria onnipotenza porta anche a tagliare le relazioni, ad annullare la necessità della presenza dell’altro.
L’antidoto c’è. Si chiama consapevolezza, che non significa tornare al Medioevo e demonizzare la tecnologia ma piuttosto imparare ed insegnare a tenere il bambino e a buttare l’acqua sporca, ovvero a godere solamente delle innegabili e straordinarie facilitazioni che la tecnologia ci offre. E poi, in fondo, quella dei social network è una vera e propria moda: come tutte le mode andrà scemando.
La malvagità è umana, e chi ha il pregiudizio positivo sull’essere umano non è umano. Non siamo tutti Mengele e non siamo tutti San Francesco. Certo, questo caso tocca corde delicatissime come la fiducia tra medico e paziente, la sofferenza, le mura di un ospedale dove si dovrebbe entrare per essere curati e non uccisi. Tutti ora invocano a gran voce giustizia, e ci mancherebbe altro. Ma ogni volta ci illudiamo che condannati questi colpevoli sia tutto risolto. Fino al prossimo fatto di cronaca.
Esiste quella che io chiamo “patologia della normalità” e cioè che l’amore e la passione che ne deriva conducono a cose che da soli non si farebbero mai. Per questo non c’è da stupirsi quando l’infermiera nelle intercettazioni chiede all’amante se vuole che ammazzi anche i suoi figli. Erika, la ragazzina che con l’allora fidanzatino Omar ammazzò mamma e fratellino a Novi Ligure, riceveva in carcere migliaia di lettere di ammiratori. Con uno di loro, un dj veronese, nacque un vero e proprio amore epistolare. Ebbene, al culmine del loro rapporto lei gli scrisse: «Ma tu, cosa saresti disposto a fare per me?».