– Sarà il tetto spiovente che fa tanto baita di montagna, con gli inserti in legno e la neve a coreografare di bianco il silenzio. Sarà quell’odore, colla e pelle, il tepore olfattivo di una stufa come non se ne vedono più, presente e passato che si fondono insieme inebriando i sensi.
Non puoi entrare che con passo lieve nella bottega dei Peruzzo, perché sei come un bimbo che bussa ad una fiaba. Fra le pagine c’è
qualcosa che non torna, però: quel cartello “Solo ritiro”, riprodotto in tanti fogli che tappezzano le pareti esterne ad avvisare i clienti di non consegnare più nulla; poi lo sguardo, triste ma capace di illuminarsi nei ricordi, di papà Angelo e di Stefano, sulla soglia di un addio che è la tipica sconfitta dei tempi in cui viviamo. Sconfitta – ben inteso – incolpevole ed inevitabile, l’ennesima di una contingenza che si sta a poco a poco divorando l’inestimabile patrimonio artigiano.
Il calzolaio di via Astico chiude i battenti e non certo per mancanza di clienti: l’altro ieri ne parlava tutta la vicina Esselunga. Gli scaffali, ad un giorno dalla definitiva serrata, sono ancora pieni di scarpe riportate magicamente in vita da una sapienza frutto dell’esperienza di decenni: un sapere tramandato di padre in figlio che per 43 anni, ogni giorno, ha ripetuto il miracolo del vecchio che ridiventa nuovo.
No, è costretto a dire basta perché strozzato dalle tasse. «Ho deciso poco tempo fa – racconta l’uomo, 45 primavere e due figli di 4 e 8 – Pur lavorando 10 ore al giorno non riesco a conseguire utile: tutto viene mangiato dal fisco. I problemi sono iniziati nel 2011: mi hanno detto di resistere ed ho provato a farlo, dando fondo a tutti i miei risparmi. Ora dovrei accendere un mutuo per pagare le tasse? No, ho una famiglia».
Di fianco a lui c’è Angelo, 84 anni e non sentirli, il precursore che ha iniziato nel 1944, «Sotto i tedeschi!», attaccando i carrarmati alle suole con le “stacchette” di legno che ancora possiede e con macchine che oggi sono un antiquariato industriale di bellezza rara. Nel 1972 ha costruito mattone dopo mattone questa graziosa “tana”, crescendo il figlio Stefano nel segno della passione: «Veniva in bottega già a sei anni, dopo la scuola, ho ancora il suo vecchio, piccolo grembiule».
Gli artigiani amano il loro lavoro ed i Peruzzo non fanno eccezione: il rammarico, la cattiveria del destino, sta tutta nell’uccidere questo amore. Stefano si è trovato un nuovo impiego alla Vibram di Albizzate: «Da tempo collaboro esternamente con loro – racconta – Producono gomma per le calzature ed io li aiutavo nelle riparazioni. Qui è venuto anche , campione del mondo di Enduro: si era fratturato il piede in più punti e noi gli abbiamo modificato gli stivali da gara per permettergli di correre. Quando ha vinto ci ha mandato la foto con dedica».
È uno dei tanti ricordi di una vita, appeso al muro, come lo sono i vecchi attrezzi del mestiere o il tariffario del 1976: suolatura donna, 7000 lire. Tutto da oggi non avrà più linfa vitale, ma resterà intonso: «Il negozio rimane – conclude Stefano – non porto via neanche un macchinario. Rimane qui, per noi: tra queste quattro mura c’è la storia di mio padre. E la mia».