In dieci anni sono spariti, in Italia, quasi 100mila negozi. Il dato di Confcommercio descrive una crisi profonda, dilatata nel tempo. Tra il 2012 e il 2022 sono sparite, complessivamente, oltre 99mila attività di commercio al dettaglio e 16mila imprese di commercio ambulante, mette nero su bianco l’ufficio studi nell’analisi ‘Demografia d’impresa nelle città italiane’.
Sono aumentate solo le attività di alloggio e ristorazione con una crescita di alberghi, bar e ristoranti di +10.275 strutture. Nello stesso periodo, cresce la presenza straniera nel commercio, sia come numero di imprese (+44mila), sia come occupati (+107mila) e si riducono le attività e gli occupati italiani (rispettivamente -138mila e -148mila). Tuttavia, nel commercio la perdita di numerosità di imprese italiane è solo parzialmente recuperata attraverso la crescita delle attività straniere, che oggi ammontano al 14,4% del totale.
Si tratta di un fenomeno, la riduzione di attività commerciali e la crescita dell’offerta turistica, che, concentrando l’analisi sulle 120 città medio-grandi, risultano più accentuate nei centri storici rispetto al resto del comune, con il Sud caratterizzato da una maggiore vivacità commerciale rispetto al Centro-Nord. Tutte le attività considerate oggi ammontano a poco meno di 884mila unità che è la somma di dettaglio in sede fissa, ambulanti e alberghi e pubblici esercizi più le altre attività di commercio al di fuori dai negozi.
La modificazione e la riduzione dei livelli di servizio offerto dai negozi in sede fissa confina con il rischio di desertificazione commerciale delle nostre città dove, negli ultimi 10 anni, la densità commerciale è passata da 9 a 7,3 negozi per mille abitanti (un calo di quasi il 20%). Per evitare gli effetti più gravi di questo fenomeno, per il commercio di prossimità non c’è altra strada che puntare su efficienza e produttività anche attraverso una maggiore innovazione e una ridefinizione dell’offerta.