Curiosità animali: anche i pesci sono pigri ma se “si impegnano” imparano velocemente

Uno studio dell’Università di Ferrara ha utilizzato gli "zebrafish" per indagarne le abilità cognitive. Ecco cosa si è scoperto

La pigrizia non è solo una prerogativa umana: anche i pesci tendono a evitare la fatica. Una ricerca dell’Università di Ferrara ha rivelato che gli zebrafish, proprio come noi, preferiscono soluzioni rapide e semplici quando ne hanno la possibilità, schivando compiti più complessi. Tuttavia, quando si “ingegnano” e affrontano sfide più impegnative, ne traggono un beneficio. Anche per loro, quindi, lo sforzo cognitivo sembra avere effetti positivi: stimolare la mente, insomma, è vantaggioso perfino in fondo al mare!

Lo studio, condotto dal Laboratorio di Biologia Comportamentale del Dipartimento di Scienze della Vita e Biotecnologie di Unife e pubblicato su Applied Animal Behaviour Science, ha utilizzato zebrafish per indagarne le abilità cognitive. I pesci protagonisti della ricerca hanno dimostrato di saper apprendere rapidamente come risolvere semplici puzzle per ottenere una ricompensa alimentare, rimuovendo piccoli dischi di plastica che bloccavano l’apertura di un distributore di cibo.“L’efficienza dei pesci in compiti di questo tipo può sorprendere molti, ma non è una novità per i ricercatori”, spiega il Professor Tyrone Lucon-Xiccato del Dipartimento di Scienze della Vita e Biotecnologie, ideatore dello studio. “Da alcuni decenni stiamo iniziando a comprendere le abilità cognitive dei pesci, scoprendo sorprendenti somiglianze con quelle degli altri vertebrati.

I pesci non solo imparano velocemente, ma sono anche in grado di adattarsi rapidamente a nuove situazioni, ‘dimenticando’ le informazioni apprese in precedenza. Alcune specie risolvono problemi come quello descritto in questo studio con facilità, e alcune arrivano persino a ‘contare’, distinguendo le quantità meglio di un infante. Queste scoperte stanno portando a una rivalutazione delle capacità cognitive dei pesci. Già nel gruppo dei pesci, che si colloca alla base dell’albero filogenetico che conduce all’uomo e agli altri mammiferi, l’evoluzione sembra aver dotato i vertebrati di un prototipo efficiente del nostro sistema cognitivo: una sorta di ‘mente ittica’.”

Nello stesso studio, il gruppo di ricerca si è posto un ulteriore quesito: i pesci sono davvero coinvolti nei compiti cognitivi proposti, oppure agiscono solo per necessità, spinti unicamente dalla ricerca di cibo? La domanda di ricerca sorge nell’ambito dell’etologia applicata e del benessere animale.“Esiste ormai una solida letteratura sulle preferenze degli animali in cattività, studiata nell’ambito dell’etologia applicata, spiega il Dottor Elia Gatto, ricercatore del Dipartimento di Scienze chimiche, farmaceutiche ed agrarie di Unife, esperto di benessere animale.

“Questa disciplina si concentra sull’osservazione del comportamento e delle preferenze degli animali in ambienti confinati. Una delle principali scoperte è che quando gli animali vivono in cattività mostrano un notevole interesse per eventuali giochi messi a disposizione, specialmente se questi giochi richiedono di risolvere un problema per ottenere del cibo. Si parla in questo caso di ‘arricchimenti cognitivi’.””Si potrebbe pensare che gli animali in cattività si annoiano”, continua il Prof. Lucon-Xiccato. “Tuttavia, sembrano esserci precise basi evolutive per le preferenze per arricchimenti cognitivi. In natura, non esistono ciotole di cibo o acqua pronte all’uso: per nutrirsi, così come per svolgere molte altre attività, gli animali devono affrontare una serie di sfide cognitive, come orientarsi nel territorio o catturare e manipolare le prede. L’evoluzione ha quindi modellato la mente animale per risolvere questi compiti. L’allevamento in cattività rappresenta spesso una situazione innaturale in cui la mente, non adeguatamente stimolata, può causare sofferenza nell’animale. Le prove di ciò sono numerose: scimpanzé, macachi, maiali, cani, ratti, giraffe, polli e piccioni, quando hanno la scelta tra cibo servito in una ciotola o cibo che richiede la risoluzione di un piccolo compito cognitivo, preferiscono quest’ultimo. È per questo motivo che recentemente si propone di usare gli arricchimenti cognitivi per migliorare il benessere degli animali in cattività.”

Con grande sorpresa del gruppo di ricerca, sei zebrafish già esperti, che avevano imparato a risolvere il puzzle senza difficoltà, quando messi di fronte alla scelta tra cibo facilmente accessibile e quello nascosto all’interno del puzzle, hanno scelto la via più semplice quasi nel 90% dei casi.”Sembra dunque che nel caso degli zebrafish non ci sia interesse per il rompicapo proposto, al contrario della maggior parte degli altri animali”, osserva la Dott.ssa Chiara Varracchio, studentessa del Dipartimento di Scienze della vita e biotecnologie che ha sviluppato questo progetto per la sua tesi di laurea magistrale. “Abbiamo trovato un solo altro animale, uomo a parte, che mostra lo stesso comportamento: il gatto domestico. La pigrizia del gatto è considerata ineguagliabile. Ora però i pesci potrebbero competere.” Il gruppo di ricerca si è poi chiesto cosa accadrebbe se gli animali dovessero risolvere un rompicapo ogni volta per ottenere il cibo. Hanno quindi suddiviso un gruppo di zebrafish in due condizioni: un gruppo poteva accedere al cibo liberamente, mentre l’altro poteva alimentarsi solo dopo aver risolto un puzzle che implicava l’apertura di un distributore di cibo. In questo modo, il secondo gruppo era costantemente esposto a un compito cognitivo. Successivamente, il benessere dei pesci di entrambi i gruppi è stato valutato tramite specifici indicatori comportamentali.”Dopo 14 giorni, spiega la Dott.ssa Varracchio, i pesci sottoposti al compito cognitivo hanno mostrato livelli di stress inferiori rispetto al gruppo di controllo, esibendo comportamenti più naturali e rilassati durante le nostre osservazioni. Questo ci porta a concludere che gli arricchimenti cognitivi migliorano il benessere dei pesci in cattività”.

Il tema del benessere animale sta ricevendo sempre più attenzione, sia a livello sociale che legislativo, con un numero crescente di normative nazionali e internazionali che impongono ai produttori di garantire condizioni adeguate per gli animali allevati.“Questo ambito di ricerca non è per niente scontato e presenta anzi notevoli sfide”, spiega Cristiano Bertolucci, Professore Ordinario di Zoologia del Dipartimento di Scienze della Vita e Biotecnologie di Unife e responsabile della ricerca. “Si pensi alle difficoltà di effettuare misure e controlli su un gran numero di animali direttamente negli allevamenti. Il compito è ancora più arduo se ci si focalizza nei pesci. In quanto mammiferi, siamo spesso in grado di riconoscere i comportamenti delle specie più simili a noi, come cani, gatti, bovini e suini di allevamento. Un cane o un vitello che giocano sono facili da riconoscere e ci fanno capire che la situazione di allevamento è caratterizzata da elevato benessere. Riguardo ai pesci, per comprendere lo stato di benessere passando dal comportamento abbiamo prima bisogno di effettuare studi di base approfonditi, come quello in questione, e probabilmente in futuro dovremmo sviluppare tecnologie in grado di notare quello che i nostri occhi non vedono, come l’intelligenza artificiale. È importante proseguire in queste ricerche nonostante le difficoltà: i pesci sono gli animali vertebrati presenti in maggior numero nei nostri allevamenti e quindi sono quelli più colpiti dalle problematiche di benessere.”Hanno contribuito allo studio Elia Gatto, Chiara Varracchio, Cristiano Bertolucci, e Tyrone Lucon-Xiccato dell’Università di Ferrara. Lo studio fa parte di un progetto PON ricerca e innovazione 2014-2020 co-finanziato dall’Unione Europea.