Arrivi tardi, perché arrivi tardi. Perché la giornata è stata frenetica e gli impegni ti si appiccicano addosso come cozze. Ma non importa. Il Blue Note ti aspetta, sempre. Recuperi il tuo biglietto, quello che diventa una reliquia e varchi la soglia del santuario del jazz.
La musica trasuda da ogni parete. Sali le scale, uno sguardo attorno e senti gli occhi delle più grandi leggende addosso. Il tuo posto è lì, ti aspetta, ma non hai nemmeno il tempo di ordinare il tuo cocktail: Antonio Sanchez è puntuale, sale sul palco, se lo prende. «Buonasera, per la prossima ora e mezza suoneremo senza mai fermarci. Questa non è musica classica: se volete applaudire, diamine, fatelo». Davanti a centinaia di bocche spalancate, uno dei più grandi batteristi al mondo prende in mano gli strumenti del potere, le bacchette, e con la sua Migration Band dà inizio alla Meridian Suite, l’ultimo lavoro dopo la colonna sonora di Birdman, il film da Oscar di Alejandro Iñárritu. Inizia la magia.
Gli occhi sono incollati fissi e immobili sulle sue mani ma la mente è già in viaggio. John Escreet vola sui tasti, Antonio lo rincorre con le sue rullate, dall’alto della terrazza del Blue Note i camerieri danzano tra i tavoli color verde perlato come sirene, eleganti e sinuose, al ritmo del piano e della batteria. Poi entra in scena lui, il sax. Il monologo di Chase Baird colpisce. Con il suo strumento sfoga i suoi deliri, le sue paure, la sua felicità e quel sound ipnotico è da brividi: duemila emozioni dentro un suono.
Le atmosfere fumose del blues inseguono quelle jazz, ma poi il ritmo sale, Antonio lascia andare libere mani e piedi e quei camerieri prima armoniosi e sinuosi diventano biglie impazzite: tutto il locale si muove al ritmo di Antonio Sanchez. Le luci sono soffuse e dall’alto i tavoli sono illuminati da piccole candele poste nel mezzo: Sanchez non si ferma, Orlando Le Fleming danza con il suo contrabbasso, la voce di Thana Alexa è dolce e suadente e quelle piccole fiammelle bianche sembrano moltiplicarsi in un cielo infinitamente stellato in cui perdersi al ritmo di jazz. È la poesia della musica.
Antonio saluta con un bis in solitaria, cinque minuti di pura perfezione. Poi esci, in silenzio, le parole sono finite. Accendi internet e scopri che per Birdman lo hanno squalificato dagli Oscar perché c’era della musica classica nella colonna sonora. Ascoltatelo, e dategli un Oscar, anzi due. Noi intanto, applaudiamo.