Da duemila a novemila, Sannino fu il numero 1

I non fedelissimi del Varese scoprirono il Varese una sera di fine estate del 2010

Trasferta iniziale del campionato di B a Torino, granata strafavoriti per la promozione, biancorossi debuttanti, match in diretta tv, vittoria-shock della squadra di Beppe Sannino. Già, Sannino. Sannino chi? Gli addetti ai lavori sapevano (altroché), il pubblico dei distratti (ahi ahi) no. E cominciò a incuriosirsi di quest’allenatore. Carattere duro, tenacia maniacale, idee tattiche chiare. E ancora: gusto del bel gioco, privilegio della velocità, atletismo prima di tutto. Risultato: un Varese rapido, essenziale, spettacolare. Meritevole d’attenzione, cioè di spendere un pomeriggio a Masnago per osservarlo de visu, e decidere se ricomprare il biglietto o no.

In molti andarono. Ritornarono. Divennero ospiti fissi sulle gradinate del Franco Ossola. Dai duemila dello sbarco dalla C-Legapro alla B si arrivò ai novemila della semifinale col Padova, per tentare il balzo prodigioso dalla B alla A. Non un miracolo: una progressione motivata. Ti dedico qualche ora, mi convinci, ripeto l’esperienza, la prolungo, le dò continuità definitiva. Così è cresciuta la simpatia verso il Varese. Medaglia al valore da appuntare a ciascun protagonista delle imprese che sarebbero durate ben più d’un anno, ma medagliona da consegnare al mister che accese la miccia. Se rivoluzione degli affetti ci fu – e ci fu: si trattò proprio d’un mobilitarsi di menti e cuori – ad innescarla provvide lui. Senza darsi l’importanza d’un maghesco stratega, e invece limitandosi a fare il suo con semplicità, in silenzio, naturalmente cocciutissimo, spigoloso a volte, quasi debordante in qualche tosta manifestazione di personalità.

Sannino ha rappresentato un’epoca, imposto uno stile, restituito a una città freddina-fredda-freddissima la passione in buona parte smarrita per la squadra di calcio. E sì che cominciò fra non poche diffidenze, nell’autunno del 2008: chiamato a sostituire a stagione appena iniziata Gedeone Carmignani, un monumento della nostra storia pallonara, dovette vincere – prima che le partite – la prevenzione di chi prese male l’avvicendamento. Disse: per me parleranno i fatti. Avrebbero parlato a lungo, con voce alta,

senz’interruzioni. Nacque nel segno della sua direzione tecnica il Varese del terzo millennio, già messo in cantiere negli anni precedenti, ma in attesa d’arrampicarsi ai piani alti della considerazione nazionale.
La scalata riuscì in fretta, tra gli applausi locali e i riconoscimenti forestieri. Il marchio corsarista ereditato da epoche lontane venne lucidato, la società beneficiò del conseguente valore aggiunto, e tutti ci divertimmo un sacco ad affondare corazzate d’oro con un manipolo di pirati dal basso ingaggio.
Al capo di quella memorabile ciurma, un doveroso e sentito inchino.