Desidero – da sindaco uscente, ma soprattutto da bustocco innamorato della sua Città, della sua storia e consapevole, soprattutto grazie alla opportunità di averla vissuta e potuta apprezzare, osservare e conoscere da mille angolature, compreso il ruolo di, consentitemelo con umiltà, regista pro tempore – ringraziare La Provincia di Varese per l’iniziativa che martedì ha visto la luce. Aprire il giornale e trovare un inserto dal titolo “La Provincia di Busto” e l’occhiello “La Busto del futuro”
non può che essere, da un lato iniezione d’ossigeno, dall’altro impulso al sorriso. E come ricordava Victor Hugo, il sorriso è una forma simpatica di comprensione e condivisione.
Così come è stato bello che il tema che ha fatto da filo conduttore sia stato, nella fedeltà alla migliore tradizione di Busto, la cultura d’impresa. Essere fedeli alla tradizione infatti non significa indulgere al melanconico e nostalgico rinvio a presunte età dell’oro, vuol dire invece fare tesoro del perno storico e vocazionale della nostra comunità.
Occorre guardare avanti, senza perdere la memoria, il che ci costringerebbe ad essere anonimi viandanti senza senso e direzione, ma sapendo guardare oltre le nuvole mantenendo i piedi ben radicati al nostro terreno. Quel terreno, pur arso, come scritto nel nome, che ha saputo far nascere, proprio per i limiti che ne erano connessi, quello spirito di impresa, capace di trasformare i vincoli in opportunità, che diede il via alla prima rivoluzione industriale italiana e in cui affondano le radici della nostra migliore cultura d’impresa.
Una cultura d’impresa su cui si è voluto, in questi anni di crisi economico-finanziaria, ma anche culturale, sociale ed antropologica, insistere, progettare, seminare, coltivare ed insieme costruire reti. Una cultura d’impresa che non può mai, né rimanere vittima delle contingenze e della sfiducia, né lasciare il passo ad un virtuale e fallace rischio solo finanziario e non manifatturiero e tecnologico. Una cultura d’impresa capace di rimettersi ogni giorno in discussione, consapevole e aperta, al mondo e alle novità. Per cui innovazione e sostenibilità non sono limiti, ma condizioni imprescindibili per crescere, competere e vincere le sfide.
Non fu un caso che Einaudi propose Enrico dell’Acqua, bustocco ed imprenditore tessile, come prototipo della imprenditoria nazionale. Fu fedele alle tradizioni di famiglia, inventando, sfidando, superando gli angusti confini di una crisi anche allora epocale.
È per questo che nel mondo di oggi, il grazie, la riconoscenza degli attori pubblici non può che accompagnarsi al sostegno, alla facilitazione, alla costruzione con chi declina ogni giorno questa cultura e combatte ogni giorno questa sfida con ogni attenzione e sforzo.
È per questo che in dieci anni abbiamo voluto mettere insieme sviluppo e inclusione nella consapevolezza che la cultura d’impresa è l’unica garanzia di futuro, anche sociale ed inclusivo, e che il massimo investimento sociale è il favorire una vera cultura di impresa, come si può anche capire dalle sessioni delle Primarie delle Idee dedicate a due settori apparentemente tra loro agli antipodi che sono stati presentati anche martedì in queste pagine.
Il tessile, che sa guardare anche al futuro con attenzione alla qualità, alla formazione, alla salute, alla tracciabilità, ai marchi collettivi, ma soprattutto, con una sana e vincente alleanza tra produzione e consumo. Ed Eolo, vera azienda dell’era digitale, che da Busto sa porsi come leva di sviluppo e di competizione economica e sociale.
E chiudiamo, nella già Manchester d’Italia, con un riferimento a Sant’Agostino, che diceva «guardare alla vita nel suo senso più vero necessita di tenere fisso l’ordito e flessibile la trama»: Busto sappia continuare a tessere questa trama che i suoi telai ormai lavorano da più di 150 anni.