Amarezza e speranza, carissimo Varese. Il ds e probabilmente il responsabile dell’area tecnica che praticamente vengono sollevati d’un botto dai loro ruoli. Saluti, e a casa. La società non accetta il dopopartita di Bologna: i cazzotti dati e presi, non importa da chi. In quei ruoli si fa piazza pulita: avanti altre persone perché l’esempio, anche in un periodo in cui si potrebbe guardare altro, è tutto. Per la figura di direttore sportivo avanza un nome che è
una sicurezza di esperienza, autorevolezza, gestione dei rapporti umani. Uno che di partite nella sua vita ne ha giocate e viste tante.
Dalla giornata della vergogna può anche nascere un fiore. Dopo il tango dell’imbarazzo, la danza della luce. Inguaiata dal corso degli eventi, dubbiosa se dare una svolta piccola o grande a quest’angosciante stagione, presa dal tormento finanziario: ci salviamo dal fallimento, oltre che dalla retrocessione in C?
Sì, perché i quesiti sono due, diciamolo chiaro. Uno tecnico, l’altro economico. Assolutamente legati. La soluzione del primo dipende da quella del secondo. Repetita iuvant, pur se appare banale l’argomentazione disperante: o soci e quattrini o sprofondo garantito. Come si fa a pretendere il provvidenziale acquisto di Tizio, Caio e Sempronio se non esistono neppure le risorse per onorare, insieme, le incombenze della spesa corrente (stipendi vari, costi di servizio, eccetera) e quelle amministrativo-fiscali? Ci vuole il concorso esterno, rapido e di sostanza. Se no, prenderà forma la discesa agl’inferi, col rischio d’un corredo di figuracce – tipo la rissa di sabato scorso – che offendono la gloriosa bandiera biancorossa.
Impresa non facile? Certo che no. Ma da tentare risolutamente, e senza fare troppe analisi del sangue ai possibili donatori di pecunia. Ovvio che se ne debba verificare la serietà, però senza un tergiversare infinito. E comunque, da offrire al compratore, glielo si spieghi chiaro, non c’è merce avariata: il Varese vanta un marchio d’appeal, un brand col fascino del vintage, una presenza storica nel calcio. Roba di qualità, mica fuffa. Possibile che a nessuno importi d’investire in un’azienda capace di regalare profitti, se messa nella condizione minima di rivaleggiare al massimo con i competitori?
Non speriamo (siamo realisti) negli arabi, nei russi, negli americani, nella fata Morgana o nel mago Merlino. Speriamo in una cordata di conoscitori del football italiano, dunque avvertiti dell’occasione interessante che qui gli si può prospettare. Sogni di tifosi, dite? Sì, naturalmente. Ma anche eventualità concreta, se ci si mobilita per darvi consistenza. E d’altronde, l’unica seria da perseguire: il resto è un gomitolo di palliativi. Confuso e inestricabile. Non adatto, pur se intessuto con passione, a volgersi nell’indumento utile a proteggere società e squadra dal vento gelido che tira. Ci raccontano: il club invita innanzitutto a ritrovare l’ottimismo, dentro i ranghi e al di fuori. Okay, d’accordo. Però l’ottimismo della ragione.