MESENZANA Mario Camboni, 70 anni, non è capace di intendere e di volere. Lo hanno affermato ancora ieri Paolo Bossi e Maria Portalupi, gli avvocati che difendono l’ex maresciallo della Finanza. Un ulteriore prova del suo stato mentale alterato sarebbe la decisione presa proprio da Camboni, in contrasto con i consigli dei propri legali, di farsi giudicare dalla Corte d’assise. Le prove contro di lui sono schiaccianti. Se avesse scelto il rito abbreviato, in caso di condanna avrebbe almeno usufruito di uno sconto pari a un terzo della pena edittale.
Ieri il giudice per l’udienza preliminare Natalia Imarisio ha infine deciso per il rinvio a giudizio. Camboni era presente: barba sfatta, una vecchia giacca a vento marrone, lo sguardo fisso nel nulla. Secondo il pubblico ministero Luca Petrucci, l’ex militare lo scorso 24 aprile, nella sera di Pasqua, uccise a Gavirate con un coltello da cucina la figlia Alessandra di 32 anni e con la stessa arma ferì gravemente l’altro figlio Federico, di 34 anni, intervenuto per difendere la sorella. Camboni deve difendersi dall’accusa di omicidio volontario pluriaggravato nei confronti di Alessandra, e di tentato omicidio pluriaggravato nei confronti di Federico.
Ieri il giudice Imarisio ha respinto la richiesta, formulata dai difensori dell’ex maresciallo, di compiere una nuova perizia psichiatrica. Secondo i difensori, Camboni al momento dell’omicidio non era capace di intendere e i volere. E ancora oggi non sarebbe in grado di stare in giudizio. Tant’è vero che l’imputato non ricorderebbe nulla di quanto accaduto in quella tragica sera. Esiste però un’altra perizia, effettuata da un esperto nominato dal giudice e compiuta in sede di incidente probatorio,
che attesta esattamente il contrario: Camboni era perfettamente in sé quando uccise la figlia, mentre oggi, semplicemente, si rifiuterebbe di ammettere persino con se stesso quel che è accaduto. Camboni venne arrestato dai carabinieri subito dopo il raptus mentre si aggirava confuso per i corridoi del residence Le Arcate di via Marconi 17, a Gavirate, dove abitava dal 27 dicembre dell’anno prima. Il figlio Federico, accoltellato a sua volta, riuscì a salvarsi fuggendo in cortile, dove venne soccorso.
Enrico Romanò
s.affolti
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