CAVARIA CON PREMEZZO Una coincidenza? Forse. Ma i fatti delle ultime settimane autorizzano a dubitare del caso.
Il 23 aprile una vasta retata anti ’ndrangheta fra le province di Varese e Milano aveva portato all’arresto di 39 persone. Gli uomini con le manette ai polsi erano collegati, con vari gradi di vicinanza, alla cosca imperante a Cirò Marina, in Calabria. Il fulcro del clan era l’asse del Sempione, da Lonate Pozzolo a Legnano. Gli affari dell’organizzazione
nel Varesotto si facevano soprattutto con l’usura, le estorsioni, le rapine e lo sfruttamento della prostituzione. E per garantire l’ordine, più volte in passato era stato fatto scorrere il sangue.
Nemmeno due settimane dopo, il 6 maggio, a Cavaria con Premezzo viene freddato a colpi di pistola Giuseppe Monterosso. Il 54enne di origini siciliane, che nel 2002 aveva finito di scontare in carcere una pena di 8 anni per associazione per delinquere di stato mafioso, era noto alle forze dell’ordine per i suoi legami con il potente clan di Piddu Madonia.
Il sospetto sul quale stanno lavorando anche gli inquirenti è che, in qualche modo, la retata e l’esecuzione siano uniti da un filo rosso. Come se gli arresti avessero causato un vuoto di potere che adesso qualcuno sta cercando di riempire, eliminando i rivali più pericolosi.
«Una sacca di criminalità di stampo mafioso si è radicata nelle zone di Busto, Lonate e Samarate a partire dagli anni ’50 – confermava qualche giorno fa il procuratore generale di Busto Arsizio, Francesco Dettori – Una realtà a tutt’oggi presente e attiva che vede una netta spartizione del territorio tra Cosa Nostra e ’ndrangheta».
La caccia ai due killer di Giuseppe Monterosso è ancora aperta. Intanto gli investigatori stanno lavorando su più fronti. In particolare, stanno verificando una voce diffusa in via Monte Rosa, dove è situato il deposito dei tir di Monterosso e dove è avvenuta l’esecuzione. Secondo alcuni residenti, Monterosso sarebbe stato protagonista di una lite con un misterioso personaggio pochi giorni prima di essere ucciso. Un’auto avrebbe fatto più volte avanti e indietro davanti al cancello della ditta. Monterosso avrebbe affrontato l’uomo alla guida, intimandogli di non passare più di fronte alla rimessa. La persona alla guida sarebbe scesa, piantandosi davanti a Monterosso, quasi a dimostrargli di non avere paura di lui. Poi tutto si sarebbe risolto in un nulla di fatto.
Se confermata, la circostanza aprirebbe la porta a uno stuolo di interrogativi. Litigio e mattanza sono collegati? L’uomo alla guida della vettura che scorrazzava nei pressi del deposito ha fatto parte anche del commando omicida? L’alterco riguardava questioni di mafia, oppure argomenti più banali? Tutte domande per ora senza risposta.
Enrico Romanò
s.bartolini
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