Una società, così come una persona o una professione, può sopravvivere ma non può vivere a lungo se è morta dentro. È esattamente l’idea di sé trasmessa dalla Pallacanestro Varese che subisce quello a cui dovrebbe ribellarsi, o almeno portarla a interrogarsi: come mai lo spazio riservato da tutti i media del territorio a Varese-Milano, che è leggenda, è pari se non inferiore a Vigevano-Varese, ultima contro prima del campionato di calcio di Eccellenza? Perché 500 varesini invadono un campetto parrocchiale invece di riempire il PalaWhirlpool per vedere la Storia? Perché
più apertura, entusiasmo, gioia, familiarità, valore (valori) attorno a una “squadretta” di dilettanti che a un patrimonio sportivo dell’umanità eroso dalla monotonia, dalla chiusura e dalla volontà di galleggiare o salvarsi, se va di lusso?
Il Varese Calcio regala un sogno (torneremo in serie B): voi, dirigenti del basket, quale sogno proponete ai tifosi, alla città, agli imprenditori, alla storia? Da una parte si vive nel futuro, dall’altra fa paura il presente (non parliamo del passato). Allo stadio almeno c’è un seme che, pur calpestato da avversari e categorie a volte umilianti, può soltanto sbocciare, crescere, arrampicarsi in cielo e questo seme si chiama sentimento, varesinità, talento, gioventù, bandiere, bomber, unità, rivincita. Tutte cose sconosciute al palazzetto.
Sarà una nullità giocare in Eccellenza, ma nel Varese sai sempre di poter parlare dentro e soprattutto fuori campo con qualcuno che capisce di calcio, e che è disposto a farsi da parte se ciò volesse dire l’arrivo di nuovi sponsor, nuovi soci, nuovi sogni. Nella Pallacanestro Varese che domina la città dall’alto di piazza Monte Grappa con chi ragioni di basket? Con chi condividi la gioia di un percorso (che non c’è e, se c’è, nessuno lo racconta)? Hai il consorzio, hai un grande sponsor, hai il pubblico, hai un nome – ma chi gioca contro Varese dovrebbe tornare a sapere che batterla è ai confini dell’impresa, non un gioco da ragazzi – manca ciò che li tiene assieme: la dirigenza (se pensate di cambiare – o scambiare – le pedine al vertice, affinché nulla cambi, commettereste l’ennesimo errore. L’ultimo, o almeno così si spera).