«L’incidente probatorio è in corso». «Risposta oltraggiosa e offensiva».
Al processo per l’omicidio di Lidia Macchi è scontro tra procura generale e ufficio gip sulla perizia genetica relativa ai peli e capelli trovati sulla salma di Lidia riesumata più di un anno fa. Il presidente della corte d’Assise Orazio Muscato, davanti alla quale siede come imputato Stefano Binda, 50 anni di Brebbia, ex compagno di liceo di Lidia, uccisa con 29 coltellate nella notte tra il 5 e il 6 gennaio 1987, arrestato 29 anni dopo il fatto con l’accusa di essere l’omicida della studentessa assassinata a soli 20 anni, aveva sollecitato gli esiti della perizia.
A quanto pare sono stati isolati due peli non appartenenti né a Lidia né ai familiari dalla salma. Il presidente, durante la scorsa udienza, aveva spiegato: «rischiamo di avere questi risultati dopo la chiusura del dibattimento».
E con un’ordinanza aveva chiesto al gip Anna Giorgetti di relazionare in merito alla perizia. La risposta, da parte di un cancelliere, che non è piaciuta alle parti «la perizia è ancora in corso», è stata letta come «oltraggiosa e offensiva» dal pg Gemma Gualdi che sostiene l’accusa. La laconicità della risposta, datata 25 settembre («Il procedimento è ancora in corso») provoca la reazione del sostituto pg, che sottolinea come la Corte debba fare comprendere che è necessaria una conclusione a breve, «entro quindici giorni».
«Non è possibile che io possa concludere il processo senza questi accertamenti che potrebbero essere esplosivi o irrilevanti ai fini dell’accusa». L’avvocato Sergio Martelli, difensore di Binda con Patrizia Esposito, si associa e cala un altro carico: «La risposta non perviene neppure dal giudice ma dalla cancelleria». Il presidente Muscato detta così una seconda lettera all’ufficio gip perché la comunicazione venga integrata «specificando la presumibile data delle operazioni peritali», dato che «la possibile rilevanza sul presente processo è di piena evidenza».
Dove è avvenuto l’omicidio di Lidia Macchi? Non dove viene ritrovato il corpo, secondo Mario Tavani, il medico legale che eseguì l’autopsia e la ricostruzione del delitto, e neppure secondo la difesa.
I legali di Binda portano avanti la loro convinzione nel controesame del criminologo Franco Posa, consulente e teste dell’accusa, che sostiene invece che il martirio di Lidia si consumò al Sass Pinì, una zona boschiva di Cittiglio. Impossibile che uno sversamento di sangue tanto imponente abbia lasciato tracce ematiche piuttosto esigue. Impossibile che il sangue dalle ferite al collo (una alla base, le altre di lato perché la vittima si muoveva tentando una difesa) non sia scaturito a schizzi, come sarebbe stato normale con la pressione di una persona così giovane. Impossibile che per tamponare il sangue siano stati sufficienti la sciarpa e il bavero rialzato del giubbotto.