Pasquale Macchi fu per 25 anni l’ombra di Giovanbattista Montini, arcivescovo di Milano e pontefice di Roma. Nel gennaio del ’64 lo scortò nel viaggio in Terrasanta. Era la prima volta che un pontefice saliva su un aereo per un pellegrinaggio, e soprattutto che andava sui luoghi di Gesù. Macchi organizzò la visita con Carlo Maria Martini, futuro capo della chiesa milanese. Montini trovò un’accoglienza entusiastica. La folla fu tanta, e tanto gli si strinse attorno,
che il suo segretario finì per esserne travolto, perdendolo di vista. Un momento drammatico. Ricordava Macchi: «Vicino alla porta di Damasco la macchina del Papa ondeggiò come una barca, lui scese, ma io venni allontanato con forza e non potei seguirlo. Grazie a un palestinese, riuscii a raggiungerlo lungo la Via Dolorosa e fino al Calvario, in mezzo a una strabiliante moltitudine». Andò così per tre giorni: un abbraccio continuo. Il Papa riprese le grandi lezioni del Vangelo: a Nazareth celebrò il silenzio, la famiglia, il lavoro. E riuscì ad essere, come voleva, messaggero di pace. L’incontro con il patriarca di Costantinopoli, Athenagoras, mostrò che qualcosa di grande stava avvenendo. Nell’impegno varesino di molti anni dopo, Macchi trasferì la memorabile esperienza: trasformò il Sacro Monte nella meta d’un pellegrinaggio intenso; ottenne di farvi salire Giovanni Paolo II accompagnato dal cardinale Martini, simbolico trait d’union con Paolo VI; aggiunse ai “memorabilia” varesini un capitolo insperato, rendendoci ascoltatori privilegiati della più alta parola cristiana. Conserviamo (miglioriamo) questo tesoro d’arte, storia, spirito.