Si è conclusa ieri con la Messa solenne in San Sebastiano celebrata da i e la storica processione per le vie del paese condotta dal decano – una tradizione ripristinata da pochi anni – la festa di Maria Consolatrice a Bregazzana, il piccolo borgo immerso nei boschi definitivamente varesino dal 1927, quando venne “fagocitato” dal capoluogo con tutta Induno (del cui territorio faceva parte): nel 1949, a seguito di un referendum, Induno tornò comune autonomo mentre Bregazzana decise di rimanere con Varese. Un festa dal fascino antico, e dai contorni sospesi nello spazio e nel tempo, proprio come lo è il bellissimo borgo un po’ trascurato immerso nel verde ad equa distanza da Sant’Ambrogio e dalla Valganna.
La Messa domenicale viene da anni celebrata in sole due occasioni a Bregazzana: a gennaio, nel giorno del santo patrono, e la prima domenica di agosto, in occasione della festa di Maria Consolatrice, istituita nel 1922 dal cardinal Ildefonso Schuster: una lapide posta sotto ad una sua tela raffigurante l’estasi di Santa Rita lo ricorda.
Ma quest’anno, in occasione dei suoi 40 anni di sacerdozio, è stata celebrata da Monsignor Gabriele Castelli, bregazzanese ordinato nel 1977, insignito del titolo onorifico di Cappellano di Sua Santità dal 2003 e tornato come tutti gli anni in vacanza nel borgo da Roma, dove è prefetto dell’Oratorio presso l’Istituto dei Santi Spirituali Esercizi per Uomini presso Ponte Rotto a Trastevere. Una funzione commovente benché austera – la corale di Sant’Ambrogio ad intonare il Sanctus in latino e una rosa di canti veteroliturgici per Maria – in cui i concelebranti – assieme a don Gabriele, anche don Angelo Corno, già arciprete di Santa Maria del Monte, e don Giorgio Spada, vicario parrocchiale della Comunità Pastorale “Santi Gottardo e Giovanni Paolo II” – hanno detto la Messa Nuova ma con le spalle rivolte ai fedeli e davanti all’altare antico di San Sebastiano, l’unico presente peraltro nella chiesina.
Una splendida, e lunga predica quella in cui il prelato ha spiegato la ricorrenza partendo dalla sua lunga esperienza personale di prete a contatto con la sofferenza quotidiana (fra gli altri incarichi, ha ricoperto quello di cappellano dei Carabinieri del Lazio). «La gente da noi preti si aspetta una spiegazione convincente sul dolore: io non ho mai saputo darla. Ne ho visto tanto, in quarant’anni: malattia, morti ammazzati, tanti suicidi, e le conseguenze di tutto ciò. Ho sempre avuto una sola parola, che non è mia ma è di Cristo: la consolazione. Con-solare, stare accanto a qualcuno, condividerne il dolore in silenzio. Il consolatore è Gesù, innanzitutto: vi manderò lo Spirito Consolatore, disse ai discepoli. Ma è anche Maria, la madre che silenziosamente accoglie il corpo del figlio morto».
Don Gabriele, classe 1951, la medesima del novello arcivescovo eletto Delpini, ringraziando tutti i bregazzanesi che fin dall’inizio lo hanno amato e sostenuto nel cammino, ha rifiutato il termine di traguardo, alludendo all’importante ricorrenza personale: «Lo chiamo servizio, per il quale non so nemmeno io perché sono stato chiamato; sono consapevole solamente di avere ricevuto la grazia di poter annunciare la gioia del Signore, e che quando mi chiamerà a sé arriverò di fronte alla consolazione».