«Noi ci aspettiamo che sia fatta giustizia e che si faccia pulizia di medici e dirigenti coinvolti in questa faccenda, per dare credibilità nuova all’ospedale di Saronno e che il decesso di nostro padre non sia stato inutile. Che ci siano d’ora in avanti controlli in ingresso dei medici, che vengano valutati dal punto di vista professionale e dei rapporti umani. Che abbiano davvero a cuore la salute delle persone». È l’accorato appello lanciato da e , figlie di Angelo Lauria, morto a 69 anni all’ospedale di Saronno il 9 aprile 2013: si tratta di uno dei quattro casi di pazienti per i quali la Procura di Busto Arsizio sta procedendo per omicidio volontario contro il dottor , tuttora in carcere.
Patrizia Lauria quel drammatico giorno si trovava insieme al papà e a mamma Angela in pronto soccorso. Lo avevano accompagnato per un semplice controllo precauzionale: malato di tumore, era entrato in codice verde per un affanno respiratorio. Era entrato con le sue gambe. Gli avevano dato una drammatica aspettativa, ma non era in imminente pericolo di vita e soprattutto aveva uno spirito combattivo. «Faceva le sue cose – raccontano le figlie – ed era tranquillo. Anche quella mattina lo era in pronto soccorso. Prima avevamo fatto la visita dall’oncologo, poi è entrato nella sala. Le infermiere hanno allontanato mia madre che ha sentito una frase strana pronunciata da Cazzaniga: “Mettetegli una flebo qualsiasi”».
Poi, il dottore è uscito. «Ha preso me e mia madre sottobraccio – racconta una figlia – Noi gli abbiamo detto che sapevamo che papà avrebbe avuto pochi giorni di vita e lui con freddezza ci ha risposto che ne aveva molto meno. Ci ha detto che lo avrebbero mandato in coma farmacologico. È tornato dentro ed è uscito una decina di minuti dopo. Ci ha chiesto se volevamo salutare il papà. Siamo entrati, ma lui era già morto. Il medico ci stava facendo credere che era ancora vivo».
A quel punto, raccontano le donne, Cazzaniga si è alzato facendo finta di staccare qualche spina. Con freddezza ha chiesto se si poteva chiamare il prete. «Ce lo hanno ammazzato – inveiscono le figlie – e ci siamo sentiti anche presi in giro. Quel giorno mio padre stava bene, aveva preso anche le pastiglie per la sua patologia. Cazzaniga deve essere sanzionato dal punto di vista penale e professionale, così come tutti quelli che sapevano e non hanno detto nulla. Non possiamo che ringraziare di cuore l’infermiera che ha denunciato i fatti».
La famiglia, in quanto parte lesa, si è affidata all’avvocato . Le due donne, insieme ai fratelli e , si costituirà parte civile nel processo.
«Stiamo approfondendo – dice il legale – diversi aspetti per far emergere nelle opportune sedi responsabilità verso la direzione dell’ospedale di Saronno, nonché eventualmente verso la stessa Regione Lombardia. Ci auguriamo che questa commissione interna non ponga muri di gomma rispetto alla verità ricercata dai familiari. Dovrà tenere conto degli aspetti risarcitori a favore delle vittime del congiunti rispetto ai singoli capi di imputazione».