BUSTO ARSIZIO – Era rientrato da meno di un mese in carcere, dopo un periodo di differimento della pena per motivi di salute, il 30enne albanese che si è ucciso a Busto Arsizio la sera di venerdì 4 novembre: nel 2019 aveva patteggiato 4 anni e 4 mesi per spaccio di sostanze stupefacenti, ma i suoi problemi psichici avevano reso incompatibile la sua presenza con quella degli altri detenuti, tanto che negli ultimi giorni era stato trasferito in una stanza singola, onde evitare risse e scontri con gli altri compagni.
Probabilmente proprio il suo isolamento dagli altri ha acuito la depressione di Giulio, che ha organizzato il suo suicidio nei minimi dettagli, senza farsi scoprire mentre annodava il cappio che avrebbe poi utilizzato per togliersi la vita.
Gli agenti della Polizia Penitenziaria lo hanno trovato esanime venerdì sera e a nulla sono valsi i tentativi di rianimarlo. Nessun dubbio sulla natura volontaria dell’estremo gesto, ma il pm Ciro Caramore ha comunque disposto l’autopsia sul corpo del giovane.
Giulio è il 73° suicida in carcere dall’inizio dell’anno: numeri che spaventano, se si considera che negli istituti penitenziari italiani ci si toglie la vita 16 volte di più che “fuori” e che il fenomeno è in netta crescita rispetto al passato.
Una telefonata salva la vita
Invertire questa tendenza sembra un’impresa difficilissima. Eppure: «Una telefonata salva la vita». È questo l’appello lanciato dal cappellano del carcere di Busto Arsizio ( Varese) don David Riboldi, sacerdote della diocesi di Milano: «Mi sono rivolto direttamente al ministro della Giustizia, Marta Cartabia, per chiedere di consentire l’uso dei cellulari nelle celle, una proposta sottoscritta nella sua recente visita nel carcere di Busto anche dal presidente della Cei, il cardinale Matteo Zuppi, e rilanciata dall’ispettore generale dei cappellani, don Raffaele Grimaldi». Tra le cause principali dei suicidi dietro le sbarre ci sono la solitudine, le poche – quando e dove sono presenti – attività rieducative (dal lavoro all’istruzione) e il sovraffollamento.
Sovraffollamento e condizioni indecorose
“Il sovraffollamento rappresenta un problema evidente. In carcere si sta stretti e nelle celle e nelle sezioni ci sono più detenuti – in alcuni casi molti più detenuti – di quanti ce ne dovrebbero essere”, denuncia l’associazione Antigone.
“Il tasso ufficiale di affollamento a fine giugno era del 107,7%, con 54.841 persone recluse su 50.900 posti, anche se il tasso effettivo – conteggiando i posti letto realmente disponibili, che a luglio 2022 erano 47.235, è del 112%. In alcune regioni poi la situazione è ancora più difficile. In Lombardia, ad esempio, il tasso di affollamento è del 148,9%, mentre ci sono ben 25 carceri dove si riscontrano tassi superiori al 150%, cioè dove ci sono 15 detenuti laddove ce ne dovrebbero essere 10. I casi più critici si riscontrano negli istituti di Latina, con un tasso di affollamento reale del 194,5%; Milano San Vittore, che con 255 posti non disponibili ha un tasso di affollamento del 190,1%; Busto Arsizio, con tasso di affollamento al 174,7%; Lucca, con 24 posti non disponibili e un tasso di affollamento del 171,8%; infine il carcere di Lodi, con un tasso di affollamento al 167,4%”.