– La storia di e racconta un matrimonio che quest’anno celebra i 65 anni di unione. Un amore, però, nato prima di quel 18 novembre 1950, quando i due giovani sposini pronunciarono la propria promessa all’interno della Chieda di San Giuseppe (perché essendo periodo d’Avvento non si potevano sposare a San Vittore).
I due si conobbero nel 1947. Ferruccio, emigrato tra Casciago e Masnago dal Veneto e figlio di una famiglia composta da otto fratelli, era da poco stato liberato dal campo di concentramento di Coltano (tra Pisa e Livorno), dove era stato prigioniero per circa otto mesi. Una volta rientrato la famiglia si trasferì in via San Martino, al fianco della casa dove la giovane Carla abitava.
«Ero uno dei più giovani volontari della Repubblica di Salò. Ero un parà – racconta – Ho fatto il corso a Tradate e il primo lancio a Venegono. Per sopravvivere, all’interno del campo contrabbandavo sigarette. In tutti i nove campi di concentramento confinanti eravamo circa 35 mila a essere detenuti e ogni giorno morivano otto o nove persone di stenti. È stata dura».
Tra Carla e Ferruccio fu amore a prima vista. «Quando Ferruccio è tornato a casa indossava una giacca chiusa con il filo spinato» racconta la donna. Che ammette di essere da subito rimasta colpita dalla storia di Ferruccio.
“Otello il moro”, così lo appellavano le amiche di Carla per via della sua carnagione scura, intercettava la giovane mentre usciva per recarsi a scuola: Carla, che nel 1947 aveva 17 anni (Ferruccio 20), frequentava le Magistrali quando ancora erano all’interno dei Giardini Estensi. «Poi, mi veniva anche a prendere all’uscita della scuola – ricorda Carla – Mi portava, spesso, a spasso in bicicletta, sulla canna. La guerra era appena finita e noi non avevamo nulla».
Ferruccio manteneva l’intera famiglia grazie alla vendita di frutta e verdura al mercato fisso di piazza Repubblica. «Un giorno – continua Carluccia, così il marito chiama la moglie – mi chiese di sposarlo e mi diede un “padellino” d’oro (anello di fidanzamento). Fece tutto lui. Il prevosto mi mandò a chiamare per chiedermi se c’era qualcuno che mi stava obbligando a sposarmi perché avevo 19 anni e non ero ancora maggiorenne».
I due non avevano molti soldi da parte. Così, la cognata sarta confezionò l’abito da sposa per Carla: un lussuoso abito blu. Terminata la cerimonia in chiesa, tutta la famiglia si radunò a casa di Carla per il pranzo nuziale preparato dalla mamma. «In luna di miele andammo al Sacro Monte con l’Alfa 2005 di un amico. Alla sera, invece, andammo al cinema con il papà di Carla».
Carla, terminati gli studi, andò a lavorare alla bancarella con Ferruccio: «Ci conoscevano tutti. I nostri principali clienti erano milanesi o gente che arrivava da Ispra». Appena sposati, la coppia si trasferì in una stanza a Biumo Inferiore. L’8 giugno del 1951 nacque il figlio Sandro e così, la famiglia si trasferì in un trilocale in via Ungheria. Piano, piano, Carla e Ferruccio risparmiarono e riuscirono a comprarsi una casa, che negli anni hanno ampliato, alla Rasa.
Il segreto di un amore così duraturo? «Tanta pazienza», commenta Carla ironicamente.