Ci sono tutti gli elementi classici dell’epica. L’eroe, Jerome Dyson, un Achille più volte incompreso nell’arco della sua carriera («Non è un playmaker, è un egoista, è discontinuo…» eccetera eccetera…), l’azione narrativa basata sullo scontro fra i popoli (Torino e un ultimo posto da cancellare, Sassari e una stagione tricolore da ricostruire), la battaglia decisiva (gli ultimi secondi del match), il tocco degli dei (qualcuno deve aver guardato giù ieri sera al Palaruffini…). Dyson la imbuca da centrocampo e tutti,
appassionati o neofiti, tifosi o agnostici, inneggiamo alla magia della pallacanestro, l’unico sport in cui un solo secondo (a dire il vero anche meno, molto meno) è in grado di cambiare il destino. Il cronometro che scorre e va ad azzerarsi, la luce del tabellone che si accende con la palla ancora in volo, l’attimo in cui l’incertezza sull’esito del tiro sospende l’anima tra disperazione ed esaltazione, l’incontenibile gioia finale che profuma di inaspettata sorpresa sono gemme sensoriali da maneggiare con cura: sono il patrimonio dello sport più bello del mondo. In fondo dice tutto il telecronista alla fine del video: «Se non vi piace il basket, beh… mi dispiace».