«Chiamiamole startup. Ma è sempre la “trincea” dell’imprenditore». La Liuc compie 25 anni e celebra il suo essere stata una “startup” di successo, ospitando alcuni dei suoi “Alumni” che ce l’hanno fatta, dando vita a “casi” imprenditoriali (a loro volta, startup) degni di nota.
«Celebriamo la buona imprenditorialità» rivela il rettore dell’università Cattaneo, anticipando la pubblicazione del volume “Start up! 25 anni di Università e impresa” (edito da Guerini Next), una ricca rassegna di casi virtuosi tra quelli «made in Liuc», che è il modo concreto e “sul pezzo” con cui l’ateneo degli industriali ha deciso di alzare i calici per festeggiare il primo quarto di secolo.
Martedì alle 17, alcune tra le più brillanti idee e progetti realizzati da alcuni “Alumni” Liuc (tra cui il nostro editore Michele Lo Nero con il caso Fim Credit-La Provincia di Varese, ma anche Mattia Riva, uno dei cofondatori di Dalani.it) verranno raccontati dai protagonisti in una tavola rotonda, impreziosita dalla panoramica di scenario del presidente di Aifi (l’associazione del private equity) Innocenzo Cipolletta.
Il perché di questa scelta ce lo spiega il rettore Federico Visconti: «L’idea
è di mettere l’attenzione sui giovani, per far parlare i nostri studenti, che replicheremo anche alla festa del laureato. In questo caso, legato a fenomeni di nuova imprenditorialità generati da loro, perché sono giovani che hanno messo su delle attività al di fuori di una tradizione imprenditoriale di famiglia, su un’idea loro».
Un modo, spiega il rettore, «per celebrare il tema dell’imprenditorialità, coerente con la vocazione e mission della Liuc ma anche legato all’attualità. Perché non tutti possono confluire nelle piramidi organizzative delle multinazionali, sempre più piatte e sempre con meno posti di lavoro: è chiaro che una direttrice di sviluppo non può che essere sulla generazione di nuove idee».
Quello che fa l’università Cattaneo però non è un facile ammiccamento al fenomeno delle startup, piuttosto un tentativo di svolgere a tutto tondo il proprio ruolo di centro di ricerca per mettere a fuoco un fenomeno che necessita di essere indagato «con rigore e profondità», come ama ripetere il professor Visconti. «Vogliamo togliere un po’ trucco e di make-up attorno alla parola “startup”, di moda oggi come le loro “cuginette” dot-com negli anni ‘90, che a colpi di “clic” facevano intravedere scenari improbabili – spiega il rettore della Liuc – il titolo del libro è provocatore: c’è dietro anche l’idea che la stessa Liuc, per certi aspetti, è stata una startup.»
«Ma l’esigenza di rigore e di profondità ci deve invitare a indagare per capire. Alcune delle startup che raccontiamo sono solo embrionali, altre più consolidate, altre già robuste. In generale, è un richiamo alla buona imprenditorialità».
Perché in fondo è questo che emerge dietro al make-up di un fenomeno di tendenza: «In trincea, ieri come oggi, vi sono gli imprenditori e le decine di migliaia di piccole e medie imprese da essi gestite – scrive Federico Visconti nella prefazione del volume per i 25 anni – gli imprenditori continuano a produrre fatti, e le storie di Start up! ben lo documentano, e ad aver bisogno di fatti. Non ci si può rilassare. Bisogna battere il ferro, tenere alta la tensione, provare a costruire».
Non c’è niente di nuovo, se non la consapevolezza che «per un Paese come l’Italia non ci sono tante alternative».
Fare impresa, così come mantenere e far crescere il patrimonio esistente di imprese, è l’unica via per la ripresa. Perché da un lato «il nuovo deve essere innestato nel modello tradizionale della nostra economia, la dimensione dell’old economy che si rinnova. E sempre più giovani aiutano anche l’imprenditore sessantenne a ripensarsi ».
Ma dall’altro «l’economia cammina sulle gambe delle imprese, che stanno in piedi su vendere, produrre e innovare. Se non abbiamo fattori di spinta dalle imprese, pensiamo di mettere a posto l’economia con delle sovrastrutture: tanti professori che studiano l’economia, tanti giornalisti che scrivono di economia, associazioni, osservatori che analizzano l’economia, commercialisti che leggono i bilanci delle imprese. Ma è un modello in ginocchio, che sta in piedi solo sul debito pubblico: la sovrastruttura si fonda solo sull’energia dell’impresa che innova, produce e vende».
Non si scappa: è la sfida che si rinnova, 25 anni dopo, per una startup di successo come la Liuc.