«Faremo di tutto per salvaguardare il gruppo Esselunga». Favorevole alla vendita, ma non alle Coop. Sarebbe questa la volontà espressa nel suo testamento da Bernardo Caprotti, fondatore di Esselunga, scomparso il 30 settembre.
Tra le sue disposizioni quella di donare, ancora in vita, il 70% della società alla moglie Giuliana Alberta e alla figlia Marina Sylvia. E di lasciare il resto (30%) diviso in parti uguali agli altri due figli, Violetta e Giuseppe.
A quanto si apprende,
il patron di Esselunga avrebbe destinato inoltre la metà dei suoi risparmi personali alla segretaria di una vita, Germana Chiodi, e l’altra metà ai nipoti.
La principale preoccupazione che emerge dalla lettura della volontà testamentarie di Caprotti è quella preservare l’azienda, dare continuità a un’attività che dà occupazione ai 22mila dipendenti con quasi 8 miliardi di ricavi.
Esselunga è una attività che gode di ottima salute e la paura è che le battaglie legali degli ultimi anni, con i contrasti tra il fondatore e i figli di primo letto possano distruggere quel valore, ha spinto Bernardo Caprotti a mettere in cima alle sue priorità la messa in sicurezza della sua attività.
«L’azienda è diventata attrattiva – scrive Caprotti – Però è a rischio. È troppo pesante condurla, pesantissimo possederla. Attenzione: privata, italiana, soggetta ad attacchi, può diventare coop».
Non solo Esselunga però.Nel testamento ci sono anche donazioni di beni. Due quadri alla segretaria, la Bentley al marito della figlia Marina e un olio di Manet al Louvre. Cancellate invece le donazioni alla Galleria d’arte moderna di Milano, dopo «un’esperienza molto negativa» avuta con un la donazione di un dipinto di scuola leonardesca alla Pinacoteca Ambrosiana.