– Nuove assunzioni nella grande distribuzione, dominio assoluto dei contratti part-time. Opportunità per le donne, penalizzante per chi avrebbe bisogno di uno stipendio pieno.
«Nella grande distribuzione il part-time non è più una scelta, ma una condizione» fa notare Pino Pizzo, segretario provinciale della Filcams-Cgil.
In questi giorni è in corso una selezione da parte di Esselunga per 300 nuovi posti di lavoro nei supermercati delle province di Varese, Milano, Novara, Alessandria e Lecco.
Molti di questi, anche nel Varesotto, riguardano specificatamente contratti a tempo parziale, inclusi quelli per il weekend che vengono riservati in particolare agli studenti universitari. Un’occasione per tutte quelle categorie in cerca di un’occupazione solo per un numero limitato di ore, come ad esempio le mamme. In realtà però ormai «il part-time sta diventando la regola nel settore del commercio, soprattutto nella grande distribuzione organizzata», come rivelano i sindacalisti del settore.
Fabrizio Ferrari, segretario della Fisascat-Cisl,
rivela che «negli ultimi anni in provincia di Varese sono state pochissime le assunzioni full-time in tutta la Gdo. Gli unici contratti a tempo pieno ormai sono quelli dei cosiddetti “specialisti”, figure specializzate come macellai o gastronomi che hanno in mano un settore non facile da coprire». Il part-time conviene soprattutto all’azienda, che «con la flessibilità è in grado di mettere a punto una turnazione efficace del personale», anche se la “ratio” della legge 863 del 1984, che introdusse per le donne madri la possibilità di chiedere la trasformazione del rapporto di lavoro da full-time a part-time, è stata ormai stravolta.
«Allora, a livello di costo del lavoro, due part-time equivalevano esattamente a un full-time – sottolinea Ferrari – oggi invece l’Irap si paga su tutt’e due i dipendenti, quindi due part-time costano più di un full-time. Ma è diventata una proposta di lavoro, che però penalizza chi vorrebbe integrare il proprio stipendio facendo un secondo lavoro».
Al di là dei casi delle donne con famiglia che potrebbero trovare conveniente lavorare quattro o cinque ore al giorno, «i continui cambi nella turnazione rendono ormai impossibile la doppia opportunità di lavoro». È una stortura normativa su cui pone l’accento anche Pino Pizzo, segretario provinciale della Filcams-Cgil: «La legge prevederebbe l’obbligo di definizione degli orari nel contratto di assunzione, ma nel 90% dei casi gli orari non vengono rispettati, visto che quasi tutti sfruttano la possibilità di stabilire dei patti con i lavoratori che si rendono disponibili alla flessibilità».
In tempi di crisi, pur di ottenere un lavoro, è una disponibilità quasi obbligata: «È questo il vero dramma del part-time – ammette Pizzo – si finisce per assicurare una flessibilità di orario che nei casi limite arriva a comunicare i turni dalla sera alla mattina. Così il lavoratore che accetta il part-time non può permettersi di conciliare l’occupazione con un secondo lavoro, e non riuscirà a raggiungere uno stipendio pieno a fine mese».
Insomma, un’opportunità che in molti casi finisce per diventare una gabbia che preclude dal raggiungere una situazione economica decente. «In questo settore il part-time non è più una scelta, ma una condizione – spiega Pino Pizzo – nelle organizzazioni del lavoro dei supermercati, che rimangono aperti per dodici o tredici ore al giorno, servono più teste a meno ore per garantire il mantenimento e la gestione dei presìdi. Molto personale da utilizzare nel modo più flessibile».
In pratica, a tutto vantaggio delle compagnie piuttosto che dei lavoratori, fatta eccezione per alcune categorie.