Il bruco è diventato farfalla. Che tradotto vuol dire che la metamorfosi di Davide Shorty da giovane promessa arrivato fino alla finale di X Factor ad artista completo, autonomo, slegato da ogni briglia commerciale e mainstream è finalmente completa. Lo scorso febbraio è uscito “Straniero”, l’ultimo lavoro da solista del rapper e cantautore palermitano classe 1989. Un album prodotto dall’etichetta indipendente Macro Beats, già megafono di artisti del calibro di Ghemon, Kiave, Mecna e Killacat, che sancisce la definitiva fioritura di una delle voci italiane più
interessanti del momento e uno dei talenti più cristallini del panorama soul e funky nostrano degli ultimi anni. In “Straniero” c’è tutto Davide “Shorty” Sciortino: c’è la Sicilia, la sua terra, c’è il rap, l’amore, la fuga dall’Italia. Ma soprattutto, c’è la soluzione all’equazione di tanti giovani artisti. Talento più talent più televisione più contratti diviso fatica diviso millemila cose uguale la musica che vorrei? Non sempre. Ecco quindi “Straniero”. Un lavoro appassionate e passionale, fresco, originale, divertente. Un album sincero, che riflette chi è davvero Davide Sciortino. E che risponde alla domanda più grande di tutte.
Diamine, sì. Questa è la mia musica e sono davvero felice.
Da un po’ di tempo coltivavo l’idea e il desiderio di scrivere un album in italiano. Volevo mettermi alla prova e uscire dalla confort zone. Negli ultimi anni ho raggiunto una libertà espressiva con l’inglese molto forte e non credevo l’avrei messa da parte per fare qualcosa in italiano. Ma avevo voglia di sperimentare usando qualcosa che mi mancava. Stavo lavorando all’album già prima di fare il talent e ora che l’ho concluso sono molto felice.
Ci sono persone che vedono il talent di buon occhio e altre invece no. Dal punto di vista della gavetta è ottimo, è un modo perfetto per farsi conoscere. Sono stato fortunato perché ho lavorato con professionisti come Elio che mi ha lasciato grande libertà espressiva. Il talent è stato fondamentale per la mia crescita e lo ringrazio tantissimo anche se è pur sempre un contenitore televisivo in cui ho fatto fatica a stare.
È una forma di comunicazione e di business che non mi appartiene. Voglio fare l’artista, non scendo a certi compromessi, tengo molto al contenuto delle canzoni e alla loro verità piuttosto che alla semplicità per arrivare in cima alle classifiche. Scrivo per esigenza, perché sento il bisogno di raccontare e di parlare attraverso la musica, non per fare delle hit.
Sciolti i vincoli contrattuali del talent, ho deciso di andare con Macro. Ci piacevamo già da prima di X Factor, conoscevo Ghemon e Kiave da anni e così, per forza di cose, ci siamo avvicinati. Sono felice perché l’etichetta di artista da talent non la voglio: non sono questo. Ho una gavetta più che decennale, ho iniziato a fare musica a 15 anni, credo di meritarmi il titolo di artista e “Straniero” è la dimostrazione che adesso faccio la musica che voglio.
Volevamo mettere l’accento sulla celebrazione della diversità, intesa nei suoi più vari significati. Politici, razziali, umani. Quello di “straniero” è uno status costante, tutti noi siamo stranieri a confronto con qualcosa che è “altro” da noi. Viviamo in un’epoca che divide, anche politicamente, in Inghilterra sono stato testimone della Brexit che amplifica il concetto di straniero. Ma gli esseri umani sono fatti per vivere insieme. Solo così funzioniamo e la paura della diversità è un’involuzione.
Mi sono sentito uno straniero nella mia stessa terra. È il motivo per cui sono andato a Londra. Quando ho deciso di fare musica mi sono sentito quasi “rifiutato”. È pesante quando hai un sogno e ti ritrovi in luogo dove sognare non è un’opzione. A scuola ti insegnano la matematica e la storia ma non ti insegnano a seguire i tuoi sogni e a dare spazio alla tua creatività. Così si uccide l’essere umano. E allora sono “scappato”.
Benissimo. Abbiamo un amico in comune, Niccolò Fabi, che ci ha presentati. Ricordo che Daniele era a Palermo per un concerto, avevo sentito il suo album “Acrobati” e ho detto a Niccolò che volevo assolutamente fare due chiacchiere con Daniele e rompergli i coglioni sulla sua musica. L’ho incontrato al soundcheck ed è stato incredibile. Mi disse che mi aveva seguito e che voleva già chiamarmi per fare qualcosa insieme. Sono rimasto sconvolto positivamente per qualche giorno. Da lì mi ha invitato nel suo studio, abbiamo lavorato su del materiale e abbiamo ancora cose in cantiere.
Tormento era uno dei miei idoli dell’adolescenza e poi siamo diventati amici. È stato uno di quelli che ha creduto in me fin dall’inizio e aver collaborato con lui è stata una bella soddisfazione. Johnny invece è sempre stato uno dei miei rapper preferiti. Da ragazzini eravamo in crew rivali, ci siamo anche sfidati in free style e le ho pure prese tante volte perché è davvero molto bravo.
Da Tormento ho preso tanti ascolti e tanti tratti melodici, ma anche skills nella performance sul palco. Da piccolo lo emulavo e ora da grande certe cose sono diventate parte integrante del mio mood. Da Johnny ho preso rime e melodie, da Daniele, invece, ho imparato molto sul mio essere cantautore, sulle liriche, sui testi. Daniele è una persona di un’umiltà estrema e di una calma sconvolgente, ti mette a tuo agio sia nel modo di lavorare sia umanamente. Si è creata con tutti una bellissima amicizia e il fatto che ci sia un rapporto umano è fondamentale e fa la differenza.
Ci siamo divertiti molto durante la lavorazione. È uno dei producer più forti d’Italia: porca miseria, è un’istituzione. Sono molto contento che abbia vinto a Sanremo e che abbia successo. Mi spiace solo non aver continuato la collaborazione ma per certe cose abbiamo visioni diverse.
Spero molto presto, forse ci sarà una data a fine maggio ma ancora non ci sono conferme. Sarò al Mi Ami il 26 maggio al Circolo Magnolia e il 31 a Lugano con la band al completo: varesini, Milano e Lugano non sono lontane. Venite, che ci divertiamo.