Con una storica sentenza, il 9 aprile 2014 la Corte Costituzionale si è pronunciata in tema di fecondazione artificiale, sancendo l’illegittimità della legge n. 40 del 2004 in relazione a taluni articoli, e decretando di fatto la fine del previgente divieto di praticare nel nostro Paese la cosiddetta fecondazione eterologa medicalmente assistita.
Si tratta di quella pratica che consente alle coppie affette da problemi di sterilità di ricorrere alla donazione da parte di un soggetto esterno di ovuli o di spermatozoi. In attesa di leggere le motivazioni che hanno condotto alla dichiarazione di illegittimità, è dunque ora possibile accedere a tale pratica. La questione ha rappresentato e rappresenta una tra le tematiche più dibattute e controverse, che spaziano da considerazioni strettamente giuridiche ad altre etiche e religiose.
Sotto quest’ultimo profilo si registra ad esempio il primo commento a caldo di Famiglia Cristiana, che ha commentato la notizia come “L’ultima follia italiana”, mentre il Ministro del Salute Lorenzin ha lamentato il timore dell’esistenza di un vuoto normativo in relazione al quale sarebbe auspicabile un pronto intervento del Parlamento. Si ritiene comunque che i primi correttivi arriveranno proprio attraverso una decretazione del Ministero, quanto meno per regolare le modalità pratiche della donazione e dell’impianto.
A seguito dell’intervento della Consulta restano comunque vigenti ad oggi il divieto di accesso alle tecniche di fecondazione assistita per i single e per le coppie dello stesso sesso. Rimane infine ancora da fissare l’udienza, sempre davanti alla Corte Costituzionale, sul divieto di utilizzare questa pratica alle coppie fertili ma portatrici di patologie genetiche, oggetto di una questione di costituzionalità sollevata dal Tribunale di Roma e dopo la sentenza di condanna della Corte Europea dei diritti dell’Uomo dello scorso agosto nei confronti dell’Italia.
Con la pronuncia in commento, che vincolerà il Legislatore anche per le prossime scelte, è quindi venuto meno un vincolo che, al di là delle ripercussioni anche di carattere morale, di fatto costituiva una discriminazione tra le coppie in base al tipo di patologia sofferta, costituendo una menomazione al diritto alla genitorialità costituzionalmente garantito.
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