Un sogno che diventa realtà: un disco di Ry Cooder con i Chieftains, dedicato, per giunta, a quel San Patrizio, patrono di tutte le colossali bevute di birra scura. Si festeggia il 17 marzo, mercoledì prossimo, ma l’austero “San Patricio”, nei negozi da pochi giorni, non è certo la colonna sonora ideale per le sbronze di gruppo. E non si tratta neppure di una collaborazione al cinquanta percento tra gli irlandesi e il grande musicista / musicologo americano.
Ma andiamo con ordine. Per un breve istante, il merito è da ascrivere a un film completamente fuori dal tempo, arrivato nelle sale britanniche e poi di tutto il mondo nel 1975, grazie alla scelta di Stanley Kubrick, che certo ha vagliato migliaia di incisioni prima di decidere di avere fatto la scelta giusta, per un breve istante i Chieftains divennero famosi al di fuori dei confini della verde Irlanda. Là erano apprezzati fin dai primi anni Settanta dove si erano segnalati come rigorosa band che rileggeva la tradizione anglo-celtica con arrangiamenti smeraldini. Un gruppo di amici, una formazione di dilettanti selezionati dal leader con profonda cura per realizzare dischi impeccabili e concerti dal rigore quasi classico. Gli irreprensibili Chieftains erano i Beatles del folk, il ruolo dei Rolling Stones spettava ai più allegri e caciaroni Dubliners che, al contrario di Moloney e dei suoi, non faceva mistero di apprezzare i piaceri dell’alcol. La popolarità mondiale e perfino un premio Oscar arrivano con “Barry Lyndon” monumentale ritratto del Settecento britannico impreziosito dal tema “Mná na h-Éireann” (“Women of Ireland”), contraltare popolaresco alla solenne “Sarabanda” di Haendel. Un salto di qualità per i Chieftains che, da allora, iniziano a realizzare opere più complesse come “Bonaparte’s retreat”, non solo una raccolta di brani tradizionali. Il secondo grande momento di celebrità arriva alla fine degli anni Ottanta con “Irish heartbeat”, un album sublime dove la magia di un gruppo prevalentemente strumentale incontra la voce di Van Morrison, un capolavoro nelle discografie di entrambi. Quella collaborazione ne genera tantissime altre: ai dischi “normali” si alternano quelli che presentano ospiti di prestigio (il più amato è “Long black veil” con i Rolling Stones, quelli veri) e questo “San Patricio” si inserisce in quel filone. Il nome di Cooder spicca perché, oltre a collaborare a due dei ben diciannove brani presenti, Ry presta la sua arte di produttore. Fra le tracce spiccano i nomi di Linda Ronstadt, Carlos Nuñez e Moya Brennan (la cantante dei Clannad, la sorella di Enya) ma ci sono anche misconosciute formazioni ispano americane come los Folkloristas, los Tigres del Norte e los Camperos de Valles, tutti riuniti per celebrare la storia dei disperati del Batallón de San Patricio, gli immigrati irlandesi guidati da John Riley che scelsero di schierarsi al fianco dei messicani nella guerra contro gli Stati Uniti. Una storia avvincente raccontata da quello che Frank Zappa avrebbe definito “un film con le orecchie”, ulteriore testimonianza del genio di Moloney e della maestria di Cooder ma anche, con un velo di tristezza, del lento declino dei Chieftains: sono rimasti in quattro, oltre a Paddy non c’è nessuno degli originali ma Matt Molloy, il violinista Séan Keane e il percussionista cantante Kevin Conneff, nel pieno dell’era digitale mentre da più parti si alzano odi funebri per il disco questi propongono addirittura un “concept” (con tanto di dvd sulla realizzazione) che mette al bando elettronica e computer, sono più fuori dal tempo di Barry Lyndon.
Meravigliosamente.
Alessio Brunialti
a.cavalcanti
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