L’Italia, ad oltre settant’anni di distanza dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, non è riuscita a fare ancora i conti con il fascismo. Figuriamoci con la Prima Repubblica, a distanza di poco più di vent’anni.
Nel Paese dalla memoria corta, ci sono dei tabù che non riescono ad essere infranti. E questo perché negli italiani è insita la tendenza alla litigiosità, come peculiarità nazionale.
Nell’intervista pubblicata martedì 25 ottobre, Stefania Craxi parla dei partiti moderni, definendoli marchi in franchising. Lontani dall’autentico spirito di comunità che c’era nei vecchi partiti. Ci troviamo d’accordo con lei fino ad un certo punto, perché se è vero che i movimento politici hanno seguito la tendenza di tutta la società, mediatizzandosi, è altrettanto vero che anche le forze politiche precedenti non erano molto diverse dall’essere un aggregato di interessi, più che di ideali, come sono i partiti moderni. E lo stesso vale per il Psi. La Craxi ha evidenziato un problema reale, portando l’esempio sbagliato. Una cosa, però, va riconosciuta. A differenza dei partiti della Seconda Repubblica, quelli precedenti erano in grado di forgiare una classe politica maggiormente preparata. E forse anche più coraggiosa.
Non si può dimenticare che la Prima Repubblica, con tutti i difetti che ne hanno decretato il crollo, aveva anche prodotto l’unico presidente del Consiglio che nella storia repubblicana ha saputo difendere da una potenza straniera la nostra sovranità nazionale. Bettino Craxi, nel famoso caso di Sigonella.