Lavena Ponte Tresa I frontalieri sono in leggero calo. Ma questo non basta a chi vorrebbe veder tutelata maggiormente la manodopera interna. È il caso di Pierre Rusconi, consigliere nazionale dell’Udc svizzero che, dopo i dati del numero dei frontalieri presenti in Ticino, contesta le iniziative del Consiglio Federale. Alla fine del 2012, infatti, il numero dei frontalieri in Ticino è diminuito su base trimestrale.
Se nel terzo trimestre dello scorso anno, infatti, gli italiani, soprattutto varesotti e comaschi, impiegati in Canton Ticino erano 55.879, nel quarto trimestre ne sono stati contati 55.554: 325 in meno. Comunque in aumento rispetto all’anno precedente. La crescita, infatti, è del 5,9%. Abbastanza per spingere gli avversari della libera circolazione ad invocare correttivi. «La verità – evidenzia Rusconi alla stampa ticinese – è che, ormai, un lavoratore su quattro arriva dall’Italia, con tutte le conseguenze del caso sull’occupazione interna». Per il consigliere, la preoccupazione «è ancora maggiore se si considera che nello studio elaborato dall’Università di Ginevra su mandato del Seco, la Segreteria di Stato dell’economia. in merito agli effetti della libera circolazione sui salari, il Ticino è menzionato un’unica volta e per di più in una noticina a piè di pagina».
Ma il problema, al contrario, per l’Udc è reale. «Tutti in Ticino, da destra a sinistra, si sono accorti del problema che non tocca più solo i posti i posti di lavoro non qualificati, bensì anche i posti dirigenziali, gli impieghi d’ufficio, in banche, fiduciarie, assicurazioni e nel settore dei servizi». Da qui una richiesta esplicita. «Approvare provvedimenti, come quello presentato dal gruppo Udc che favoriscano – chiarisce Rusconi – il lavoratore interno. Altrimenti il rischio concreto per il Ticino è quello di trovarsi presto in braghe di tela».
Alessio Pagani
f.artina
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