A Longone, un caratteristico borgo della Brianza comasca, aveva la sua Villa Alta Costa, la “fottuta casa di campagna” lo scrittore (1893-1973), che parlò di questo paese dai tratti medievali, adagiato sulle sponde del lago del Segrino, un cupo specchio d’acqua ai piedi del monte Cornizzolo, nella sua opera autobiografica “Cognizione del dolore” (1963), in cui l’hidalgo don Gonzalo Pirobutirro d’Eltino, alter ego dell’autore, un ingegnere quarantenne scapolo e colto, vive con la vecchia madre in una villa fatta costruire con grandi sacrifici.
L’“ingegnere” Gadda, a proposito della dimora di vacanza, in una memoria autobiografica, scriveva appunto riferendosi al proprio padre: “Suo padre costruì la fottuta casa di campagna di Longone nel 1899-1900 e questa strampalata casa gli rimase appiccicata fino al 1937. Panorama stupendo sui laghi brianzoli, Monte Resegone”.
Gadda era nato a Milano in una famiglia della buona borghesia, il padre imprenditore tessile, , la madre, insegnante di lettere e poi direttrice alle magistrali. La concorrenza del mercato e lo sperpero di denaro dedicato alla costruzione di quella dimora “strampalata”, sovraccarica di elementi, terrazzi, balconi, porticati “salvo forse i connotati del Buon Gusto”, causò il dissesto economico della famiglia che, da quel momento in poi, visse in ristrettezze economiche.
La situazione disagiata provocò una ferita incurabile che il giovane Gadda non dimenticò mai: “La povertà mi ha umiliato di fronte al ceto civile borghese al quale la mia famiglia apparteneva, almeno nominalmente” così da procurare la situazione per cui “un sentimento di frustrazione sta alla base del mio lavoro e del giudizio che faccio di me stesso”. Il desiderio di prestigio sociale, rappresentato dalla villa per cui venne prosciugato il patrimonio familiare, ebbe come conseguenza non solo quella di portare il giovane scrittore ad una “sensibilità morbosa, abnorme”, ma anche ad un rancore oscuro nei confronti del padre e della madre. Nel 1936, Gadda scriveva a : “La mia casa di campagna mi procura più grattacapi che una suocera isterica. Sono le fisime casalinghe, brianzole e villereccie di un mondo che è tramontato per sempre lasciandomi solo stucchevoli tasse da pagare – Mi vendicherò”.
Dopo gli studi liceali, Gadda venne costretto dalla madre agli studi di ingegneria, lungi da quelli letterari per cui aveva già una profonda vocazione e, nel 1915, interrompendo gli studi universitari, partì volontario per il fronte, in cui ravvisava l’occasione per un riscatto sociale personale, oltreché per liberarsi dalle angosce che lo imprigionavano.
La guerra rappresentò, per il giovane ufficiale, una nuova ferita aperta, “il male oscuro” che si portò via l’amato fratello e che lo costrinse alla prigionia in Germania. La successiva simpatia iniziale per il fascismo si trasformò presto in accanita avversione che proruppe poi nel celebre romanzo “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana”. Nel frattempo, Gadda portò a compimento gli studi in Ingegneria, considerando sempre la professione di ingegnere un peso intollerabile, arido e mortificante.
Per interessamento di amici intellettuali ottenne, nel 1950, un incarico di collaboratore al Terzo Programma della Rai, per cui lavorò fino al 1955, mentre la sua fama cresceva di pari passo con l’ampliarsi della sua sofferenza interiore. Gadda trascorse gli ultimi anni della vita nella solitudine e in un profondo isolamento mentre il mondo delle lettere si accorgeva finalmente della grandezza di questo scrittore.
“Non si liquida tutto un mondo di scarafaggi senza un certo disgusto – scriveva nel 1936 – Non si rimane soli nel mondo, senza una irredimibile pena. L’immagine di Chi ci ha lasciato ritorna, ritorna, per dirci l’infinità della distanza. La morte di Chi viveva in noi è morte di noi stessi. / Molte complicazioni nascono anche dal dolore: che per alcuni è semplicità, per altri uno spaventoso groviglio”.