«Spero che Gallarate riesca a fermare la desertificazione culturale che procede, inesorabile, ormai da qualche anno». Parole di Max De Aloe, titolare del Centro di Espressione Musicale e fondatore di un Festival che in 13 anni ha portato in città nomi di punta del jazz internazionale. Nei giorni scorsi, De Aloe ha pronunciato lo scalfariano «non ci sto» e si è dimesso dalla direzione della rassegna. Non tanto in segno di protesta, quanto di dolorosa presa di coscienza.
L’amministrazione comunale gli ha prospettato un budget ridotto del 60% rispetto all’anno scorso e del 75% più basso rispetto alle edizioni precedenti. E siccome De Aloe è un persona seria, non intende smontare il fascino di un Festival che si è conquistato spazio e credibilità a colpi di qualità. Come dire: meglio un fulgido ricordo che una logora tradizione. Sul piano artistico e comunicativo, Max ha senz’altro ragione. Resta, però, un dato politico ineludibile e cioè il primo macroscopico inciampo dell’amministrazione Cassani. Avviare la nuova stagione culturale sacrificando una delle sue iniziative più prestigiose e collaudate non è certo un buon viatico e pretendere che questa possa mantenere un livello accettabile tagliandone la dote di tre quarti è a dir poco velleitario. La realtà, spiace dirlo, è che la vicenda del Jazz Festival mostra chiaramente ciò che l’assessorato alla cultura di Gallarate non vuole.
Più difficile, al momento, individuare la pars costruens. Ammesso che ci sia.