Gamba, saggezza e storia «Pozzecco? Un equivoco»

Il grande coach della Ignis che vinceva tutto parla dei giorni nostri. «Il Poz preso perché popolare, ma non gli hanno dato la squadra»

«Ciao giovanotto». Già, un giovanotto classe 1932 patrimonio vivente del basket mondiale, italiano e locale: Sandro Gamba – così amorevolmente apostrofato da Armando Crugnola all’inizio dei festeggiamenti di sabato a Varese per i 70 anni di Aldo Ossola – non ha bisogno di presentazioni ulteriori. Va fatto parlare, va ascoltato. Ne esce una recensione a tutto tondo sugli italici e cestistici costumi, da Varese a Milano, da Pozzecco a Caja a Banchi, passando per il derby e arrivando addirittura a Eric Maynor.

Sipario aperto, non prima di una battuta sulla festa delle feste: «Ben fatta – esordisce l’ex allenatore dalla doppia Hall of Fame (americana e italiana) – Ce la siamo raccontata, come sempre: Meneghin, Zanatta e Rusconi hanno rammentato gli scherzi, gli altri, tra cui il sottoscritto, si sono concentrati sul ricordo di partite e riunioni».
Il presente chiama e lo assecondiamo. Derby: «Una roba da tapparsi il naso. Io mi sono persino incavolato e l’ho

scritto su “Repubblica”: per Milano era una partita fin troppo facile, hanno dominato il primo tempo con 52 punti segnati ma poi si sono fermati. Perché mai? Banchi non può farli giocare meglio?». Uno sguardo sulla prestazione della vittima sacrificale Varese – parzialmente risparmiata dunque – è conseguente: «Sta cercando ancora di trovare la propria identità e si vede. È normale: ha appena cambiato allenatore. Non era domenica, tuttavia, la partita nella quale fare progressi sul piano del gioco. La metà dei giocatori sarebbe da mandare a dormire, comunque».
Sotto il cartello “lavori in corso” c’è la firma di Attilio Caja. È quella giusta? «Ha l’esperienza idonea a fornire personalità alla squadra. Per allenare non conta più il curriculum, non basta cercare quelli che hanno vinto: serve chi è capace di insegnare, chi – come Caja – è vent’anni che fa questo lavoro». Forse è questa la chiave giusta anche per giudicare il recente e negativo vissuto varesino di Pozzecco: «Premessa d’obbligo – risponde l’ex coach azzurro – A Gianmarco voglio bene: ogni volta che mi vede, mi bacia e mi abbraccia. Mi chiese pure di venire a Varese per assistere agli allenamenti, ma non ho fatto in tempo a farlo viste le sue dimissioni. È stato tutto un grande equivoco: lo hanno preso perché popolare, ma non gli hanno dato i giocatori giusti. Con un solo anno e mezzo di esperienza alle spalle cosa poteva fare?».

Niente si improvvisa: «Essere allenatore vuol dire formare una squadra e poi comandare. Mai diventare troppo amico dei giocatori: è la fine. In ogni caso il Poz ha fatto bene ad andarsene, perché ha dimostrato di aver capito la necessità di dover ancora migliorare».
E se questo fosse stato il suo addio definitivo alla panchina? «Troppo presto. Vai in un’altra squadra e poi torna a Varese. Bisogna, però, misurare il calibro della sua passione: un allenatore deve amare la palestra». Dal particolare, al generale. Il Gamba-pensiero sulla modernità che scorre sotto gli occhi: «Sono tanti gli aspetti che non mi piacciono del basket di oggi. È aumentato l’atletismo, ma la tecnica individuale è penosa: la ragione è che non ci sono più buoni maestri. I giocatori non si passano bene la palla, non hanno un’adeguata posizione difensiva, né a rimbalzo, non fanno più pressing… Sono quasi scomparsi i contropiedi: per quelli bisogna avere dei playmaker di lusso».
Maynor come lo classifichiamo? «Spendibile per 10 minuti e non di più, allo stato attuale. Una sua riconferma passa prima dalla scelta del prossimo allenatore». In conclusione, una provocazione da tifoso “cugino”: coach Gamba, che succede se Milano esce dall’Eurolega? Basterà lo (scontato) scudetto? «Non certo a Giorgio Armani: le sue aspettative erano ben altre per questa stagione».