Un tweet che dice «grazie Charlie per quello che mi hai detto ma soprattutto per come me l’hai detto. Ti voglio bene» e poi una foto, talmente bella e potente nella capacità di evocare sentimenti da rischiare di essere rovinata con qualsiasi commento.
Gianmarco Pozzecco è stato una fabbrica di sogni quando ha vestito canotta e pantaloncini, ha risvegliato la passione di una città intera con la cravatta rossa ben allacciata al collo ed è
capace di emozionare evidentemente anche quando scrive.
Abbiamo provato a chiedere a quel Charlie, l’altra parte di una lunga storia iniziata nel 1997, il contenuto delle parole scambiate l’altro ieri, a dardo di Goss appena infilato nel cuore di Varese, ma quel Charlie si è dimostrato per l’ennesima volta persona da grandi pudore e lealtà. Questa risposta non ci ha sorpreso: «Sono cose molto personali. Pensi che non l’ho rivelato nemmeno a mia figlia. È come quello che viene detto negli spogliatoi: tra quelle quattro mura deve rimanere. Certamente il tweet di Gianmarco mi ha fatto piacere, quel “ti voglio bene” corrobora ancora di più un sentimento pienamente ricambiato».
Confermo il giudizio: a me l’Openjobmetis è piaciuta molto, perché non ha solo messo in mostra ottime qualità offensive, ma ha anche condotto una partita molto tattica e sicuramente ben preparata. Si è persa in difesa negli ultimi 10 minuti e qui sta la ragione della nostra vittoria. Avevo chiesto ai miei di limitare il più possibile Diawara e ci siamo riusciti: per farlo, però, abbiamo lasciato scoperti gli altri nelle rotazioni difensive. Insomma, è stata dura.
Se devo essere sincero no, forse perché lui stesso non era ancora mentalmente pronto. Ho però insistito molto affinché prendesse la tessera mentre frequentava il master alla Bocconi e lavorava per Armani. Desideravo che non si facesse trovare impreparato in caso di chiamata da parte di qualche squadra, cosa che poi è effettivamente avvenuta con Capo D’Orlando. So come funziona il nostro mondo e so che Gianmarco ha tutte le qualità per far bene, deve solo trovare equilibrio ed imparare a gestire le emozioni.
Saper essere credibili agli occhi dei giocatori, imparare a trasmettere se stessi senza seguire strade già tracciate. Quando ho incominciato ad allenare andavano di moda Peterson e Bianchini. Io non ho copiato nessuno ed i miei atleti l’hanno capito subito. Così deve fare Gianmarco.
Senza dubbio quando ho deciso di escluderlo dalla Nazionale nel 2003. In quel frangente ho dovuto lasciare da parte i sentimenti per guardare al bene della squadra. Il risultato ottenuto (bronzo agli Europei ndr) mi ha dato ragione e sono stato anche fortunato. Umanamente, però, mi è dispiaciuto molto, proprio in virtù di quello che ci ha sempre legato.
Scontato: lo scudetto della stella e la medaglia d’argento alle Olimpiadi sono sullo stesso piano. Se proprio devo scegliere, opto per lo scudetto, anche perché so che è il ricordo cui più tiene Gianmarco.
Bisogna vedere quanto ancora riuscirò ad assecondare il richiamo della panchina. Ormai decido anno per anno: allenare ti porta via tanto dal punto di vista emotivo. Diciamo che escludo la prima ipotesi e valuterò la seconda (ride): mai dire mai!
Di farlo sempre esprimere come meglio può. Oppure di tagliarlo immediatamente!