Giorgio Grasso al Mac di Lissone

Lissone – Prima di tutto quell’aria da patriarca. Di chi ha vissuto mezzo secolo o quasi di arte monzese e ne parla come di un’avventura. Mica da tutti. Poi le gallerie che forse dovrebbero prestare un po’ più di attenzione al panorama locale dice. E i Comuni – aggiunge – già, loro, che forse se avessero una commissione che funziona quell’attenzione la presterebbero. Ma tant’è, se ne parla se proprio si ha voglia di far polemica.

Lui, intanto, si tiene l’aria da patriarca che ne ha viste tante e continua a sognare un cenacolo di artisti monzesi e brianzoli che parlano, si confrontano, si raccontano. Ci prova, per esempio stilando la lista dei candidabili alla Biennale bis di Torino, tutti accolti all’appendice dell’evento dell’arte internazionale che quest’anno, in laguna, è stato gestito da Vittorio Sgarbi per il padiglione Italia. Dopo Venezia Torino, per continuare a censire gli artisti del Belpaese e con tutti lui, Max Marra, astrattista prima di tutto, figurativo all’occasione, capace di guardagnarsi una retrospettiva a cavallo tra il 2009 e il 2010 al Museo di arte contemporanea di lissone per celebrare venticinque anni di attività.

Ancora lì. A Lissone, giovedì sera (23 febbraio, alle 21, ingresso libero) Max Marra accompagna Giorgio Grasso, coordinatore generale del Padiglione Italia a Venezia e poi a Torino, dove fino alla fine del mese alla sala Nervi del palazzo delle esposizioni è stata organizzato un supplemento dell’evento lagunare con un migliaio di artisti italiani.

Grasso è al Mac per rispondere a un solo predicato: “L’arte non è cosa nostra”. Per dire che non può essere il patrimonio ristretto di una ristretta cerchia di frequentatori e che quindi è necessario rompere le omertà che le appartengono. «È il modulo che Sgarbi ha voluto dare agli altri, per leggere l’arte, cioè allargare prima di tutto il campo anche a chi non è professionista, portando in un evento di primo piano anche chi altrimenti rimane fuori dalla scena principale, pur meritando di farne parte». Rischiando l’ammucchiata? «Forse – osserva Marra – ma l’errore è quello opposto, cioè snobbare questo modo di intendere l’arte. Molti hanno risposto no, ma io dico, tra esserci e non esserci, tanto vale esserci, perché ne vale la pena e soprattuto perché, se ci sono anche artisti che non valgono nulla, il pubblico è in grado di capirlo e di scegliere. Tanto più – aggiunge l’artista monzese – che le sfaccettature e gli stimoli di Torino valgono più di quanto non possa sembrare superificalmente».

«Ho visto cose che secondo me non funzionano» ha aggiunto Marra parlando dei tanti artisti esposti, «ma non è un mio problema, io faccio l’artista. E includere lavori poco validi era un rischio che gli stessi organizzatori prevedevano. Quello che importava loro era fare un censimento dell’arte in Italia. E questo ha rappresentanto un’occasione per tanti artisti». Occasioni che spesso mancano in Brianza, per chi lavora bene. «Non esistono spazi per la sperimentazione, non esistono, mi sembra, enti pubblici che si diano delle commissioni di persone esperte in grado di dare occasioni agli artisti del territorio. Io sono convinto che occorra fare una ricognizione storica dell’arte del territiorio».

E l’antologica di Lisone per Max Marra? «Non è questo il punto. Non riguarda solo me». Parola di chi nella comunità dell’arte crede davvero. E che ha fatto di tutto per portare a Torino quelli che in Brianza fanno arte che vale. Dalla Brianza a Torino, con Max Marra c’erano tra gli altri Ambro Moioli, lissonese, Pieralberto Filippo, scultore di Usmate, Ettore Moschetti d Vaprio, gli altri lissonesi Max Falsetta Spina, Maria Rosaria Marra, Samuele Polacco PAolucci, MariO De LEo, oltre ad Antonella Gerbi e Daina Rutili di Seregno, Raffaele Cioffi di Nova, i desiani Alessandro Savelli e Pierantonio Verga, quindi lo scultore vimercatese Andrea Cereda e Yari Miele e Carlo Spiga che hanno recentemente esposto alla galleria Cart di Monza.

m.rossin

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