Se nel nostro Paese la disoccupazione giovanile è in costante crescita, con un dato che si attesta di poco al di sotto del 40%, è anche vero che aumenta in parallelo la disponibilità degli under 35 ad adattarsi al lavoro continuando ad approcciare positivamente la propria vita.
È quanto emerge dal ” promosso dall’e presentato al Meeting di Rimini, secondo il quale i giovani tra i 18 e i 32 anni valutano con un voto medio di 4,3 (su una scala da 1 a 5) il senso di soddisfazione per la propria vita. Dallo studio emerge anche che tra gli under 30 che vivono con i genitori, la percentuale di chi progetta l’uscita entro un anno dall’intervista è poco più di un quarto nella fascia 18-24 e poco più di un terzo nella fascia 25-29.
«L’Italia è uno dei paesi che meno hanno aiutato i giovani a proteggersi dai rischi della crisi – spiega , fra i curatori del rapporto. Eppure i giovani italiani non sono rinunciatari. Hanno in partenza progetti di vita importanti da mettere in atto e un atteggiamento positivo verso il lavoro».
«In un contesto di perdurante difficoltà nel mondo del lavoro – si legge nel rapporto, realizzato con il sostengo di Intesa Sanpaolo e Fondazione Cariplo – l’autorealizzazione viene messa in secondo piano rispetto al reddito, soprattutto nelle classi sociali medio-basse. E la remunerazione è infatti uno dei principali punti dolenti della qualità del lavoro svolto, assieme alla non sempre stretta coerenza con il proprio percorso formativo. Questa condizione di adattamento riguarda tutti, ma è ancora più forte per chi ha un lavoro a tempo determinato (49,3%)».
Emerge inoltre dal Rapporto che la maggior stabilità di chi ha un lavoro a tempo indeterminato e la soddisfazione complessiva verso il lavoro sono legate positivamente sia alla soddisfazione per la propria vita e le scelte fatte, sia come atteggiamento positivo verso il proprio futuro. Al punto più basso si trovano i Neet, i giovani che non studiano e non lavorano: la loro soddisfazione per la qualità di vita raggiunge 3,7 punti in media su 5, contro un valore pari a 4,3 di chi ha un lavoro instabile e 4,8 per chi ha un lavoro a tempo indeterminato. I Neet sono anche la categoria che meno è sicura delle scelte fatte nella propria vita.
Per quanto riguarda il progetto di lasciare il “nido” dei genitori, inoltre, esistono differenze marcate sia rispetto alla presenza o meno di un lavoro sia rispetto al tipo di lavoro svolto: per chi ha un contratto a tempo determinato si sale al 45% di intenzioni positive di uscita, mentre tra i Neet non solo il valore è molto basso (23%) ma rimane sostanzialmente fermo all’aumentare dell’età. Inoltre, «l’elevata percentuale di Neet tra gli under 30 in Italia (il cui valore assoluto, superiore ai 2 milioni e 200 mila, è il più elevato in Europa) – si legge ancora nello studio – non compromette solo le vite lavorative dei giovani ma costituisce un enorme macigno sulla sostenibilità sociale, sulle dinamiche demografiche e sullo sviluppo economico dell’intero Paese».