– Quando la natura infligge le sue sferzate, è difficile trovare riparo. Eppure, a Varese, alcune scuole sono state risparmiate dalla furia cieca della tempesta di venerdì sera grazie agli alberi che hanno fatto scudo di sé per proteggere gli edifici, e si sono sacrificati nell’impatto: l’asilo nido “Pietro e Giovannina Marzoli”, la scuola materna “Don Papetti” e la media inferiore “Don Rimoldi”, tutte a San Fermo.
Da ieri mattina gli uomini del Verde Pubblico sono al lavoro per rimuovere i colossi che si sono schiantati a terra, a brevissima distanza dalle aule: e quelle che si sono presentate agli operai comunali sono immagini che resteranno scolpite nella memoria.
Nel caso dell’asilo di via Vetta d’Italia l’abete rosso, pur di non abbattersi nella sua interezza sul rifugio dei bambini del quartiere si è spezzato in due, andando a lambire con le ultime frasche, come in un’ultima carezza, l’ingresso.
Analoga sorte è toccata a due abeti della scuola di via Pergine, ultimi avamposti dei primi alberi piantati quando venne inaugurato l’edificio: in questo caso un primo colosso, divelto dalla potenza terribile del tornado, si è abbattuto sul compagno che gli stava di fronte e che, nell’impatto, si è spezzato in tre enormi tronconi. La cima è volata sul tetto e gli operai sono dovuti risalire con il cestello per poterla rimuovere, di modo che non ostruisse le gronde: già
due estati fa la scuola si era allagata nel corso delle ripetute ondate di maltempo. Un secondo, gigantesco tratto si è disteso in parallelo accanto alle finestre, nell’estremo tentativo di proteggerle: e difatti nessun danno strutturale è occorso all’edificio, che è rimasto intatto così a partire dai vetri. Non si capacita del fatto Francesco Florio, il segretario dell’Istituto Comprensivo Varese 1, di cui la “Don Rimoldi” è il quartier generale. «L’anno scorso erano venuti a togliere tre cedri del Libano, in assoluto gli esemplari più vecchi del giardino: rimangono ancora i segni. Erano vecchi, malati ed era pericoloso, dissero dagli uffici del Comune, lasciarli dov’erano: solo adesso riesco a capire cosa sarebbe potuto succedere. Al loro posto avevano piantato tre giovani carpini, che da allora sono un po’ cresciuti». Seduto davanti all’entrata, la testa fra le mani, l’uomo è ancora incredulo: «Non mi sarei mai potuto aspettare una cosa del genere. Avranno avuto una trentina d’anni, poco meno dell’età della scuola: ne erano un po’ i custodi, essendo stati piantati dai ragazzi che inaugurarono con la loro presenza, tanti anni fa, la “Don Rimoldi”».
San Fermo, essendo in collina, è stato in assoluto il rione più danneggiato di Varese, assieme all’Isolino Virginia, dove il vento sfoga la sua ferocia nel lago.
«Davanti ad una tromba d’aria non c’è prova di stabilità che tenga» spiega Pietro Cardani, capoattività del Verde Pubblico. «Mi ricordo di un nubifragio di potenza analoga, nel 2003. La tromba d’aria agisce come un turbine, ed è la cosa peggiore: il legno in torsione non vale niente, le fibre scendono e si staccano l’una dall’altra; e il vento, in turbolenza, girando, agisce come un cavatappi e spezza le piante. Un altro motivo per cui gli alberi si ribaltano è quando le radici sono poco profonde, come nel caso della “Don Papetti” e della “Don Rimoldi”. Quando costruivano le scuole, negli anni Settanta, l’area intorno era di cantiere, e quindi gli alberi sono stati piantati sopra uno stratino di terreno di non più di dieci centimetri: in questa maniera le radici non hanno avuto la possibilità di svilupparsi, e sono rimaste debolmente ancorate al suolo». Di questi abeti, che furono donati dagli alunni durante i primi Natali di vita delle rispettive scuole, rimarrà ora solo un tenero ricordo nelle fotografie d’epoca che li ritraggono dapprima esili, poi sempre più alti, infine, prima del disastro, svettare in un ultimo, maestoso saluto come giganti buoni e protettivi.