Una gita scolastica dura solo qualche giorno ma verrà ricordata per tutta la vita. Lo sa da sempre ogni studente del mondo. Lo sapeva bene Pupi Avati quando, 32 anni fa, aveva girato un film molto apprezzato che si chiama «Una gita scolastica». È il racconto dell’ottantenne Laura: in un dormiveglia, preludio alla morte, rivive l’emozione di un momento speciale della sua gioventù, al termine dell’anno scolastico del 1914. Mentre la polveriera balcanica sta per fare esplodere la prima guerra mondiale, i maturandi di una terza liceo “mista” attraversano a piedi l’Appennino da Bologna a Firenze. Il rifermento cinematografico vuole introdurre Matteo Inzaghi, direttore di Rete 55 e competente cinefilo: alle 17.30 di domenica, celebrerà due film cult, molto diversi fra loro, che hanno compiuto 40 anni: Fantozzi di Luciano Salce e Lo squalo (Jaws) di Steven Spielberg.
L’altro giorno Inzaghi ha mandato il giornalista Mattia Andriolo a conoscere i ragazzi della quinta C “architettura” del liceo artistico Frattini di Varese, che venerdì scorso erano in gita a Parigi, proprio mentre la capitale francese veniva attaccata dall’Isis.
Io dico che i ragazzi hanno fatto una gran bella figura perché non si sono presentati impostati e non hanno espresso le opinioni dei classici vecchi saggi. La spontaneità vince sulla preparazione artefatta: sono veri e contano di più i loro volti, i loro occhi, dai quali traspare autenticità pura. La genuinità del loro dolore ci fa capire che cosa abbiano provato durante una gita scolastica in una città straniera sconvolta da un attacco terroristico.
Io mi sono iscritto all’università nel primo anno di Tangentopoli: i potenti ritenuti intoccabili finivano ogni giorno in manette, c’era la tentazione emotiva di dividere il mondo in buoni e cattivi. Dopo più di vent’anni, col senno di poi, ci sarebbe da riflettere molto sulle sensazioni di allora. Adesso la reazione dei ragazzi in merito agli attentati di Parigi è stata più pura e scevra di ogni dietrologia. I loro giudizi non sono viziati dai filtri complottistici o dalle forzature di cui spesso si sente parlare in questi giorni.
Non c’è dubbio e troppi episodi fanno capire come la situazione sia tesa in maniera epocale. Ma non è un caso che sia stata attaccata proprio Parigi.
La Francia è uno dei paesi più esposti: ha concepito e portato avanti l’attacco per abbattere il regime di Gheddafi in Libia. Con questo non voglio però assolutamente passare per giustificazionista. Anzi, al contrario sono il più solidale possibile con i francesi. Semmai, a chi dice che sarebbe potuto accadere anche da noi, ricordo che non è proprio così vero. Non è un caso che certe dinamiche siano scattate proprio in Francia.
Alcuni lo hanno fatto. Non ho apprezzato il titolo di Libero («Bastardi islamici», ndr) perché l’Islam non è l’Isis. Non è vero che tutta la comunità islamica è stata zitta, anzi in molti hanno preso posizioni nette contro i terroristi. Quel titolo di Libero è fuorviante perché lo sa anche chi lo ha scritto cercando di cavalcare un’onda che fa di tutta l’erba un fascio. È necessario distinguere tra Isis e Islam come, d’altra parte, è necessario riconoscere che esiste una componente fanatica e integralista all’interno del mondo islamico.
Temo che questa ondata emotiva di bandiere francesi e di occhi in lacrime si estinguerà fra pochissimo. Chi me lo fa dire? Fatti analoghi: smorzatasi l’onda emotiva, spesso non sono rimaste radici di quei fatti. La comunanza e la solidarietà non sono esercizi di stile, come rischiano di essere, ad esempio, i profili Facebook colorati di bianco, rosso e azzurro. La viralità dei social rischia spessissimo di perdere d’occhio la profondità, agganciandosi invece alla superficialità e dando solo effetti effimeri.