Grazie Tonino. La chiacchierata con te, la tua visita in redazione, i tuoi sfoghi e la tua emozione, la tua educazione («Direttore, ma davvero posso darle del tu?») hanno riempito un vuoto. Un vuoto che c’era dentro, e un vuoto che c’era fuori. E soprattutto hanno spazzato via ore e ore di inutili convegni, stucchevoli simposi, pompose cene e pallosissime serate. Parole vuote di professoroni autoproclamatisi esperti, che dall’altro del loro scranno amano pontificare su un argomento delicato e forte come quello di cui hai parlato tu, il disabile e la sessualità, senza saperne nulla.
Senza aver mai provato quella sensazione che ti viene quando una donna ti dice “no” e tu muori un po’ dentro perché ti autoconvinci (anche se spesso non è vero) che quel “no” sia dovuto al tuo essere diverso. Senza aver mai parlato con un papà che piange la notte sentendo le urla di suo figlio che di là, nella sua stanza, non riesce a sfogare le sue umanissime pulsioni. Senza aver mai ascoltato una mamma raccontare di tutte quelle volte che le è toccato masturbare suo figlio: per calmarlo. Quelle mamme e quei papà che certe notti devono chiudersi a chiave in camera, perché può capitare che loro figlio diventi violento. Quelle mamme e quei papà che magari, ogni tanto, devono andare su in Svizzera: dove si può.
Grazie Tonino, perché hai detto delle cose forti ma giuste e hai squarciato quell’insopportabile vezzo che hanno troppi disabili: quello di pretendere la pietà, di farsi trattare da handicappati prima che da persone. La tua “pedagogia della disabilità” è una cosa seria e meravigliosa: sei avanti, caro Tonino. Sei troppo avanti rispetto a un mondo – quello della disabilità – che continua a creare eroi, esempi, modelli, bandiere. Quando avrebbe bisogno di iniziare a fare i conti con un po’ di normalità.