«Gruppo unico Siamo fratelli non compagni»

Occhioni bianchi sgranati. Volto incredulo e divertito. Filo di emozione che dopo le lacrime di venerdì sera nemmeno si nota.

Bryant Dunston sembra voler salutare così la sua Varese: l’ultimo bagno di folla, gli ultimi applausi, il colpo di coda di un popolo che lo ama e che lo implora di restare.
«Crazy, crazy, crazy». Bryant Dunston continua a ripeterlo mentre si affaccia sul balcone che dà su una piazza Monte Grappa stracolma di gente. «Pazzi: io una cosa del genere non l’avevo mai vista in vita mia». E immagina cosa sarebbe successo se Varese avesse vinto lo scudetto. Firma un autografo dietro l’altro, si mette in posa per dieci, cinquanta, cento foto: il sorriso è stampato e sincero. Sincerissimo.

Bryant resta ancora un po’ a godersi gli applausi della gente, sembra chiudere gli occhi per assaporarne meglio il rumore, poi rientra dal balcone perché tutti quanti vogliono farsi fotografare con lui. É il perfetto eroe varesino, autore di una storia bellissima cui è mancato soltanto il finale.

E partiamo proprio da quello: dalla fine, da quella gara7 in borghese.

Purtroppo non ci si può fare nulla: queste sono cose che nel basket succedono, e che bisogna accettare. Tra l’altro, in tutta la mia carriera non mi era mai capitato nulla: è la prima volta che devo fermarmi per un infortunio e va a succedere proprio nella partita più importante che abbia mai affrontato. Com’è che si dice da voi? Ah, sì: sfiga.

Se ci fosse stata anche la più piccola possibilità di scendere in campo, credete che non l’avrei fatto? Davvero, non potevo.

A metà di gara 6 a Siena ho sentito un dolore fortissimo al polpaccio e ho chiesto subito il cambio. All’inizio dell’ultimo periodo con Siena che stava recuperando sono andato nel tunnel davanti agli spogliatoi e ho provato a correre un po’, perché c’era bisogno di me. Ma non potevo sollevare il piede e in quel momento ho capito che non sarei più rientrato.

La stagione più bella della mia vita: non dimenticherò mai Varese, qualunque cosa succeda. La città, i tifosi, il coach, lo staff tecnico: si è creato qualcosa di unico, indescrivibile. Non chiedetemi come mai è successo, so solo che è capitato: ed è stato bellissimo.

E dei suoi compagni, cosa dice?

Io non ho dei compagni: ho dei fratelli. E anche questa è una cosa che capita raramente, perché in squadra si va d’accordo e si gioca: ma non succede mai che si crei un legame così forte, così indissolubile.

Credo che le lacrime che venerdì sera hanno inondato lo spogliatoio fossero anche e soprattutto per questo. Perché eravamo tutti tristi per aver perso, ma allo stesso tempo abbiamo realizzato in un attimo che tutto era finito: dalla possibilità di stare assieme un altro mese, siamo passati alla consapevolezza che di lì a qualche giorno ci saremmo tutti salutati.

Prima di iniziare l’intervista mi avevate promesso che non mi avreste fatto domande sul mio futuro.

É una domanda alla quale faccio fatica a rispondere ora, semplicemente perché nemmeno io lo so.

Una parola sola: Grazie.

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