– Quando ed io ci siamo conosciuti le nostre mani hanno fatto fatica a incontrarsi: una non riusciva a trovare quella dell’altro. Nonostante questo l’intesa è stata subito profonda: lei mi stima molto per i miei successi professionali e sportivi, io la adoro perché dietro a quella dolcezza che quasi ti chiama a proteggerla si nasconde un carattere ben definito e una grinta da vendere! Senza dimenticare che Marti, seppur giovanissima, può già vantare la partecipazione ad un campionato del mondo e tra poco gareggerà all’europeo con già in tasca il pass per le Paralimpiadi di Rio. Paralimpiadi che per uno come me che in acqua si butta per sciare resteranno un sogno.
«Ho un po’ male alla spalla sinistra – mi dice un giorno Martina – non è che me la guardi?». «Volentieri Marti, ma guardarla e basta serve a poco. Se poi la guardo io ancora meno! Bisognerà anche che ci metta le mani!». L’adrenalina è stata tanta e lo è tuttora: poter essere utile a un atleta paralimpico dopo aver curato tanti atleti normalmente disabili mi rende fiero!
Atleti paralimpici appunto: ragazzi con una passione inesauribile supportati spesso da famiglie fantastiche per quanto sono vicine ai propri figli,
per proteggerli e al tempo stesso contribuire e stimolarli a ricercare un bene prezioso come l’autonomia. Ragazzi che si allenano ore e ore al giorno senza un vero sostegno medico, mentale e alimentare. Dei veri eroi che conciliano lo sport che amano con la scuola, il lavoro e gli impegni di tutti i giorni. Di questo ne parleremo: le paralimpiadi sono un evento stupendo, c’è copertura mediatica e l’atleta è assistito al meglio; però i quattro anni che intercorrono tra una paralimpiade e l’altra richiederebbero almeno pari attenzione perché è lì che si forma un vero atleta.
Inizio a curare questa spalla birichina e scopro che è proprio un peperino questa Martina Rabbolini! Ha ben chiari i suoi impegni settimanali, bacchetta la mamma quando non li ricorda e se le rimane del tempo si tuffa in cucina a far biscotti per tutti! In effetti il problema e il relativo dolore erano seri davvero.
A testimoniare che questi ragazzi sono tosti fino al punto di combattere il dolore armati solo di carattere e determinazione. A questo proposito non mi sembra vero che Martina non sappia cosa sia un massaggio defaticante! Ecco perché l’ho costretta a farne a ripetizione! E mentre la “torturo” la chiacchierata spazia dai cani guida ai libri in Braille fino al test d’ingresso alla facoltà di fisioterapia.
Adesso Marti sta meglio e tra l’altro si muove da sola nel centro medico dove lavoro proprio come me e proprio come me non urta più contro gli stipiti delle porte e sa bene quanto è lungo il corridoio.
Siamo quasi in dirittura d’arrivo: riprenderemo a breve i lavori in acqua contemplando anche le braccia parallelamente a un lavoro di potenziamento a secco.
In lei riconosco tanti dubbi e paure che ho vissuto alla sua età. Anche la non consapevolezza delle proprie potenzialità e quella brutta bestia del panico da prestazione che ti paralizza nei momenti dove invece devi muoverti per non sentire i tuoi avversari allontanarsi. La necessità di buttar fuori ogni scoria per liberare corpo e mente puntando decisi l’obiettivo. A proposito di obiettivo la vera impresa del nostro incontro è stato un selfie in autonomia! Ci abbiamo provato e ci riproveremo per trovare una soluzione in tempi brevi. Intanto, ed è già tanta roba, abbiamo capito dove mettere la sedia nella stanza del trattamento per non rimetterci entrambi gli stinchi!